“Così racconto l’ambiguità del bene”

foto NissimAvrebbe potuto vivere una vita comoda, occuparsi degli affari di famiglia, essere cittadino del mondo. Invece Gabriele Nissim, ha scelto l’impegno sociale. Da sessantottino, movimento studentesco, sinistra radicale a giornalista politico, scrittore, ma sempre e comunque contestatore: della borghesia prima, del partito comunista poi, e infine di ogni ideologia. Dalla parte delle vittime sempre. E sempre anticonformista.

L’ambiguità del bene, potrebbe essere il suo motto.

Sì. Sono contrario alle stigmatizzazioni, all’idea che il bene e il male siano in antitesi. Il confine non è mai netto. L’eroe puro esiste solo nei miti. Gli esseri umani sono più complessi, devono adeguarsi alle circostanze, hanno pulsioni contradditorie…

E allora, dov’è il bene?

Nell’impegno etico personale. Nel fare sempre ciò che si può per perseguirlo. Nell’atto di ribellione individuale ai soprusi. Schindler, Perlasca, Zamboni non erano eroi a tutto tondo. Anzi. Però seppero nel momento decisivo, scegliere, al di fuori dei loro schemi ideologici, di non adeguarsi a ciò che ritenevano ingiusto, immorale.

Lei ha deciso di dedicarsi alla ricerca e alle valorizzazione di coloro che si sono messi in gioco per aiutare il prossimo. Come è nato questo impegno?

Visitando i Paesi dell’Est europeo mi sono reso conto che la Shoah era stata rimossa. Non ne parlava nessuno. E scrissi così il mio primo libro: “Ebrei invisibili. I sopravvissuti dell’Europa orientale dal comunismo a oggi”. Durante le ricerche venni a conoscenza di un personaggio straordinario, Dimiter Peshev, vice presidente del Parlamento bulgaro, che in un primo tempo aderì alle leggi razziali contro gli ebrei, ma al momento delle deportazioni si rese conto dell’orrore, e usò il suo potere politico per fermare i treni diretti a Auschwitz. Peshev dopo la guerra fu giudicato in Bulgaria come antisemita e condannato a morte. Si salvò all’ultimo momento ma non gli fu mai restituito l’onore. In seguito a questa esperienza, da cui è nato il libro “L’uomo che fermò Hitler”, cominciai a ragionare sui giusti, fuori dagli schemi ideologici del politically correct. Noi etichettiamo le persone attraverso schemi rigidi, senza tener conto di ciò che fanno in concreto, al di là del credo professato. Secondo me il giusto non è solo l’oppositore conclamato all’ingiustizia. E’ la persona che si assume la responsabilità individuale. Sono un seguace dei filosofi stoici, di Epitetto, di Marco Aurelio che predicavano: a volte è necessario adeguarsi al mondo, l’importante è non venir mai meno all’etica personale. Il Talmud dice : “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Io aggiungo: “Chi salva una vita sa di non poter salvare il mondo intero”. Spesso si è impotenti di fronte all’ingiustizia, alle violenze, alla guerra, ma su un punto si può sempre intervenire: difendere il carattere morale del proprio destino. Questa è la vera libertà dell’individuo.

Peshev, Epitetto.. chi altro ha influenzato la tua formazione?

Moshe Bejski, ebreo di Cracovia salvatosi grazie a Schindler, artefice del Giardino dei Giusti a Gerusalemme. Decisi di scrivere un libro su di lui (“Il Tribunale del bene”). E finii per diventare suo amico e confidente. Mi raccontò della sua disillusione per la visione élitaria e dogmatica (sono parole sue) di Yad Vashem nella scelta dei Giusti, tant’è vero che lasciò tutto e andò a lavorare a Mashua, un centro israeliano dedicato all’educazione dei giovani sulla Shoah. Bejski riteneva che Giusto non è solo colui che rischia la vita per salvare un ebreo, ma è una categoria morale universale: Giusto è chiunque riesce a opporsi all’ingiustizia e a fare qualcosa per salvare i perseguitati, anche al di là delle proprie convinzioni ideologiche. Se non fosse stato per la sua determinazione Schindler, per tutte le sue ambiguità, mai sarebbe stato riconosciuto come giusto. Idem per il doganiere Paul Gruningen, che permise a tanti ebrei di entrare in Svizzera, ma che non aveva mai rischiato la vita.

Questo atteggiamento ti ha messo in contrasto con Yad Vashem…

Ritengo che Yad Vashem porti avanti un lavoro straordinario, ma sono convinto che gli ebrei devono farsi portavoce di una sofferenza che riguarda non solo il nostro popolo, ma l’umanità intera. La Shoah è unica, per intenti e modalità, ma le persecuzioni etniche e religiose sono state sempre perpetrate e continuano ad esserlo, a Nord e a Sud, a destra e a sinistra. Per questo ho fondato l’Associazione Gariwo (Garden of Righteous Worlwide ), e sono riuscito a ottenere nel 2012 la data del 6 marzo come Giornata dei Giusti, facendo lobbying da solo, deputato per deputato. Oggi stanno nascendo giardini dei Giusti in tutta Italia, ma anche nel Ghetto di Varsavia, in Ruanda, in Bosnia, a Praga e in Armenia. Quest’anno sono stato invitato per ben due volte alla Open University di Raanana, a delle conferenze sui Giusti e la prevenzione dei genocidi. Mi sono accorto con grande soddisfazione che alcuni dei più grandi studiosi della Shoah come Yehuda Bauer, il prof. Yair Auron e Israel Charny sono sulla stessa mia lunghezza d’onda. Peccato che in Italia sia poco conosciuto il grande dibattito sulla memoria e sulle memorie che attraversa la cultura israeliana. Mai come quest’anno si è parlato del genocidio armeno.

Alcuni ritengono che l’eccessiva celebrazione della Memoria sia controproducente, che contribuisca a stigmatizzare l’immagine degli ebrei come eterne vittime, invece che valorizzarne l’identità culturale e sociale…

Sono d’accordo, e infatti accomuno gli ebrei a tutti i perseguitati per ragioni etiche e religiose, e utilizzo il ricordo del passato come monito per il futuro: ognuno deve diventare responsabile dei tempi in cui vive, scegliendo di esercitare il bene. Si onorano i morti della Shoah nel momento in cui oggi ci si comporta in modo giusto ed etico. La memoria fallisce se non serve a prevenire oggi nuovi genocidi. Purtroppo molti sono d’accordo nel condannare i crimini del passato, amano fare le anime belle, ma poi tacciano sulla Siria, sul fondamentalismo islamico, sulle tragedie dei profughi. Come si può ricordare la Shoah, quando poi si vive nell’indifferenza? C’è qualche cosa che non va.

Parliamo del tuo ultimo libro, “Lettera a Hitler”. Come è nato?

Ho scoperto Armin Wegner, il protagonista del libro, nel mio lavoro sui Giusti e subito mi appassionai alla sua storia. In Italia non è molto conosciuto, ma in Germania è considerato un grande personaggio. Fu il primo a scoprire e denunciare il genocidio degli armeni, e fece dei reportages fotografici straordinari. Fu il primo scrittore tedesco che nel ’36 denunciò le leggi razziali e per questo finì in un campo di concentramento. Aderì al comunismo e al pacifismo, salvo poi ricredersi di fronte alle barbarie staliniste e alla necessità di opporsi al nazismo. Insomma, un uomo capace di misurare le proprie idee sulla realtà, di ricredersi, un ingenuo se vogliamo, convinto che si poteva fermare Hitler e che la Germania “buona” avrebbe trovato la forza di salvare il Paese, e anche un uomo ambiguo, che scrive a Hitler, e anche a Mussolini, utilizzando la propria autorevolezza di scrittore acclamato, senza opporsi frontalmente, ma anzi ossequiandoli, in modo che può essere perfino fastidioso, ma convinto che solo così sarebbe potuto arrivare al suo scopo. Ovviamente si sbagliava, ma almeno ci provò..

Leggendo il libro, sembra che ti identifichi in Wegner…

È un personaggio che per molti versi mi somiglia, un antieroe che compie gesti di eroismo, un Don Chisciotte che ha fiducia nell’umanità e nella vita, un assertore del dialogo (dopo la guerra era convinto che ebrei e tedeschi dovevano ricominciare a parlarsi -sembrava un atteggiamento naif, ma la Storia gli ha dato ragione..) Armin denunciò i turchi e i comunisti, i nazisti e i fascisti, e , prima che nascesse Yad Vashem, cominciò a cercare e documentare le storie dei Giusti tedeschi, convinto che avrebbe trovato qualcuno capace di sentire il richiamo della coscienza. E infatti ne trovò parecchi.

E infine, Armin, come me, è un uomo pieno di contraddizioni, che gode la vita, i piaceri, gli amori, lo sport. Un uomo compassionevole che ama la natura, gli uomini e la bellezza, capace di riconoscere e ascoltare la sofferenza degli altri, senza moralismi intransigenti, e soprattutto senza la volontà di giudicare e stigmatizzare. E’ stato nominato Giusto sia dagli armeni che dagli ebrei, ma non è l’eroe duro e puro che si espone impavido al pericolo. E’ un individuo pieno di dubbi, esitazioni, paure, ma che trova l’indignazione e il coraggio di reagire quando le circostanze lo richiedono.

Viviana Kasam

Giornalista, storico e scrittore, nel 1982 Gabriele Nissim ha fondato L’Ottavo Giorno, rivista italiana dedicata ai temi del dissenso nei paesi dell’Est Europeo e, per Canale 5 e TSI (Televisione Svizzera Italiana), ha realizzato numerosi documentari sull’opposizione clandestina al comunismo, sui problemi del post-comunismo e sulla condizione ebraica nell’Est. Ha collaborato con i periodici Panorama e Il Mondo e con i quotidiani Il Giornale e Il Corriere della Sera. Nel 2000 fonda a Milano il Comitato Foresta dei Giusti – Gariwo Onlus con l’intento di ricordare le figure esemplari di resistenza morale ai regimi totalitari nella storia del Novecento in Europa e nel mondo. Il Comitato Foresta dei Giusti ha un quotidiano online, www.gariwo.net, che presenta figure contemporanee impegnate nella difesa dei diritti umani e informa su tutte le attività relative alla Memoria nei Paesi europei. Ha innovato il concetto di memoria, poiché ha voluto mettere in luce gli individui che sono stati capaci di venire in soccorso dell’altro nelle situazioni estreme e che hanno avuto la forza di difendere la dignità umana. Ha universalizzato la memoria dei Giusti non soltanto ricordando i soccorritori degli ebrei ma estendendo questo concetto a tutti i totalitarismi e ai genocidi. Nel 2003 ha promosso la creazione del Giardino dei Giusti di tutto il mondo al Monte Stella di Milano ed ha sostenuto la nascita del Giardino dei Giusti di Yerevan in onore delle figure esemplari del genocidio armeno. Su sua iniziativa è sorta Gariwo Sarajevo, presieduta da Svetlana Broz, che ricerca gli episodi di soccorso ai perseguitati durante la pulizia etnica in Bosnia-Erzegovina e contribuisce al difficile processo di conciliazione tra i popoli dell’ex Jugoslavia. Nel 2007 ha inaugurato nel Cimitero Memoriale di Levashovo, vicino San Pietroburgo, la lapide in ricordo delle vittime italiane del GULag. Nel 2010, per la Comunità Europea, ha dato vita ai primi Giardini virtuali dei Giusti d’Europa con il progetto W.E.Fo.R. (Web European Forest Righteous) – I Giusti contro i totalitarismi. Identità e coscienza europea sul web. Il sito www.wefor.eu permette agli utenti di visitare i giardini in 3D. Nella sua attività per la memoria Nissim ha ricevuto numerosi riconoscimenti. Nel 1998 è stato nominato dal Parlamento bulgaro Cavaliere di Madara per la scoperta della figura di Dimitar Peshev. Nel 2003 ha vinto il premio “Ilaria Alpi” per il documentario Il giudice dei Giusti e nel 2007 ha ricevuto una menzione speciale dalla Regione Lombardia per il suo impegno a favore della pace e sul tema dei Giusti. Il 10 maggio 2012 il Parlamento Europeo ha approvato, con la Dichiarazione scritta n.3/2012, l’appello lanciato da Gabriele Nissim per l’istituzione di una Giornata europea dedicata ai Giusti per tutti i genocidi, da celebrarsi ogni 6 marzo, data dalla scomparsa di Moshe Bejski. Nel 2012 è stato insignito del premio letterario Pegasus Città di Cattolica alla carriera, e nel 2013 ha ricevuto dal Ministero della Cultura della Repubblica di Bulgaria il premio a nome dei Santi Cirillo e Metodio per i meriti nello sviluppo e nella diffusione della cultura bulgara in Italia. Nel giugno 2014 ha inaugurato il Giardino dei Giusti di Varsavia, e nel dicembre 2014 ha ricevuto l’Ambrogino d’oro dalla città di Milano, per il suo impegno “costante per! la prevenzione di nuovi crimini contro l’umanità, con la ricerca e la divulgazione delle figure esemplari dei Giusti diretta soprattutto verso i giovani, la creazione di Gariwo e la campagna che ha portato alla proclamazione della Giornata europea dei Giusti. Grazie al suo lavoro a Milano è nato il Giardino dei Giusti al Monte Stella, dedicato a quanti si sono distinti nella lotta ai totalitarismi e nell’aiuto alle minoranze oppresse e perseguitate: un monumento di civiltà e di umanità che fa onore alla città e all’intero Paese”.

Ha pubblicato:

• Ebrei invisibili. I sopravvissuti dell’Europa orientale dal comunismo ad oggi (con

Gabriele Eschenazi), Milano, Mondadori, 1995

• L’uomo che fermò Hitler. La storia di Dimitar Peshev che salvò gli ebrei di una

nazione intera, Milano, Mondadori, 1998

• Il tribunale del bene. La storia di Moshe Bejski, l’uomo che creò il Giardino dei

Giusti, Milano, Mondadori, 2003

• Storie di uomini giusti nel Gulag, Milano, Bruno Mondadori, 2004

• Una bambina contro Stalin, Milano, Mondadori, 2007

• La bontà insensata. Il segreto degli uomini giusti, Milano, Bruno Mondadori, 2011

• La memoria del bene e l’educazione alla responsabilità personale (a cura di

Francesca Nodari), Collana Fare memoria/Filosofi lungo l’Oglio, Roccafranca (BS),

Massetti Rodella Editori, 2013

• La Lettera a Hitler. Storia di Armin T. Wegner, combattente solitario contro i

genocidi del Novecento, Milano, Bruno Mondadori, 2015

“La lettera a Hitler” di Gabriele Nissim (Mondadori editore, pp. 304, Euro 20) è la storia di uno scrittore tedesco, Armin T. Wegner, che per primo denunciò il genocidio degli armeni, e fu autore di uno scioccante reportage fotografico sulla loro deportazione, con il quale cercò (inutilmente) di risvegliare la coscienza del mondo a quell’orrore, nel momento in cui veniva perpetrato. Sposato con una donna ebrea, Lola Landau, scrisse nel 1933 una lettera a Hitler, denunciando le leggi antisemite e valorizzando il contributo ebraico alla cultura e alla società tedesca. Per questo venne rinchiuso in un campo di concentramento.

Denunciò anche i crimini del comunismo sovietico, scrisse una lettera a Mussolini per aiutare la nuova compagna, Irene Kovaliska, anche lei di origini ebraiche, a salvarsi dalle persecuzioni fasciste (e in questo caso ebbe successo), e si oppose a ogni forma di sopruso ed ingiustizia.

Nominato Giusto sia dagli ebrei che dagli armeni, fu però un personaggio controverso, attaccato alle sue radici tedesche e convinto che la Germania si sarebbe redenta, fautore nel dopoguerra del dialogo tra ebrei e tedeschi.

Il libro racconta in modo avvincente, sotto forma di romanzo, una pagina di storia poco conosciuta, e invita a riflettere, come peraltro tutte le opere di Nissim, a ciò che è la bontà e la giustizia, al di fuori delle etichette politically correct, ma mettendo l’accento sulla responsabilità individuale e sulla ambiguità del bene.

Sarà presentato a Roma il 14 ottobre alle 18.30 presso il Tempio di Adriano, in Piazza di Pietra, alla presenza dell’autore, del Presidente UCEI Renzo Gattegna, dell’ambasciatore armeno e dell’ambasciatore tedesco, di Mischa Wegner, il figlio di Armin Wegner, e dei giornalisti Gian Antonio Stella e Wlodek Goldkorn.

Modera il dibattito Viviana Kasam.

L’attrice Manuela Kusterman leggerà alcuni brani del libro.

(11 ottobre 2015)