Qui Roma – “Attentato alla sinagoga,
una ferita ancora aperta”
“Ricordare l’attentato alla sinagoga di Roma il 9 ottobre di 33 anni fa è ogni anno più doloroso, una ferita sempre aperta. Quello che avvenne fu infatti il risultato di una campagna di odio che portò a una recrudescenza dell’antisemitismo sotto la maschera ipocrita dell’antisionismo. Noi ebrei romani continueremo per sempre a ricordarlo, ma non vogliamo più essere soli”. È il messaggio che Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica romana, ha voluto diffondere in occasione di un incontro con le scuole a Palazzo Montecitorio.
Nell’occasione la presidente Dureghello ha espresso la propria gratitudine al capo dello Stato Sergio Mattarella per aver ricordato il piccolo Stefano Gaj Tachè, vittima innocente del terrorismo palestinese, nel suo discorso di insediamento. “La strada è però ancora lunga – ha però sottolineato – tanto che aspettiamo ancora che i responsabili dell’attentato abbiano tutti dei nomi e cognomi e paghino per quello che hanno fatto”. Nel 1982 l’attacco ha colpito gli ebrei romani, i valori fondamentali, l’Italia intera. “Ma ancora oggi, ogni giorno – ha detto Dureghello – assassini armati di coltello scendono in strada e continuano a perpetrare la violenza. Questo accade in Israele”.
“Non aver inserito Stefano Gaj Tachè nella lista delle vittime italiane del terrorismo è stata per molti anni una significativa dimenticanza” ha quindi affermato Antonio Polito, vicedirettore del Corriere della sera. “In tutta questa vicenda l’ignoranza è un aspetto pericolosissimo: Stefano è stato un bambino italiano ucciso in quanto ebreo. Oltre alla confusione tra ebraismo e sionismo che rilevava anche lo storico Renzo De Felice, a contrassegnare quel periodo, e in misura leggermente minore i giorni d’oggi, fu l’indignazione selettiva. Israele in certi ambienti venne considerata colpevole per il solo fatto di esistere e nel 1982, mentre in tanti criticavano il suo operato, quasi nessuno denunciava l’azione dell’Unione Sovietica in Afghanistan. Fu il clima dell’epoca ad incubare quell’attentato”.
Interviene anche la deputata Milena Santerini, presidente di
No Hate Alliance: “L’antisemitismo – il suo messaggio – è un fenomeno latente e rischia di emergere ogni volta che il tessuto sociale viene indebolito. Ciò che dobbiamo capire è che la violenza non nasce all’improvviso, inizia con la percezione dell’essere diversi, prosegue con l’isolamento e arriva a gerarchizzare il valore delle vite umane. Nel dopoguerra venne innalzata una barriera per ostacolare l’odio, una barriera che dobbiamo continuare a tenere alzata a protezione di tutti”.
In conclusione, introdotto da Edoardo Amati, moderatore dell’evento, prende la parola Gadiel Tachè: “Quando venni ferito durante l’attentato avevo solo quattro anni e recuperare la mia vita fu un miracolo sia fisico che psicologico. Appena mi ripresi chiesi di Stefano: come spiegare a me, a quel bambino di quattro anni, che Stefano, mio fratello, non c’era più? Non si può accettare”. “Ma ora – prosegue Tachè – dobbiamo pensare al futuro: per trent’anni non ho parlato fino a quando mi sono reso conto che mio fratello non era inserito nella lista delle vittime italiane del terrorismo. Questo mi ha fatto arrabbiare: come è stato possibile, mi chiedo, che l’Italia non abbia vissuto un’attentato nel cuore di Roma come un lutto per il Paese e non solo per la comunità ebraica? Tantissime cose su quella vicenda ancora non tornano e non ho intenzione di fermarmi nella ricerca della verità, ma dobbiamo farlo insieme. Solo così avremo un futuro migliore”.
(12 ottobre 2015)