La ragazza terribile
A tredici anni un ragazzo diventa adulto, responsabile dell’osservanza delle mitzvot: a questa età Avraham decise di non seguire più l’idolatria della casa paterna (Pirke d’Rabbi. Eliezer 26), suo figlio Itzhak fu ‘svezzato’ (Bereshit 21:8), suo nipote Yakov si separò dal gemello Esav per andare il primo alla Casa di studio ed il secondo alla Casa degli idoli (Genesis Rabba 63:10); proprio a tredici anni Bezalel ebbe da D-o l’incarico di costruire il Mishkan (Sanhedrin 69b). Da questi illustri esempi, diverse fonti talmudiche fissano a tredici anni l’eta della maturità fisica e spirituale.
Undici giorni dopo il mio tredicesimo compleanno, è stato proiettato per la prima volta negli Stati Uniti il film di Michael Verhoeven La ragazza terribile (The Nasty Girl, in originale Das Schreckliche Mädchen), nominato all’Oscar come miglior film straniero e vincitore nel 1992 del British Academy Film Award al miglior film non in lingua inglese. Non ricordo quando l’ho visto per la prima volta, probabilmente appena giunto in Italia. Quel che ricordo bene, è come il film mi avesse colpito e come abbia indirizzato in qualche modo alcuni aspetti del mio pensare e del mio agire, negli anni incerti di passaggio dall’adolescenza all’età adulta – ancora non ho trovato una definizione soddisfacente in lingua italiana per questa fase dell’età umana, dal momento che l’adolescente è colui che si sta nutrendo mentre l’adulto è colui che si è già nutrito e ha concluso un percorso, ma ciò è inadeguato rispetto al più saggio principio espresso dal nostro grande maestro Hillel: “Vai e studia”, il percorso di apprendimento è socraticamente aperto per tutta la vita.
La protagonista del film, Sonja (interpretata dall’attrice Lena Stolze) è nasty ovvero sgradevole, in lingua originale Schreckliche: l’aggettivo deriva da Schreck, che a noi rimanda subito all’orco animato simpatico e buono di tanti film di animazione, ma in tedesco significa terribile, spaventoso, orribile – nel 1880 lo scrittore Mark Twain denunciò in The Awful German Language – Die schreckliche deutsche Sprache come la lingua tedesca, di cui dopo decenni di studio padroneggiava ormai ogni sfumatura e che lodava come ironica ed espressiva, fosse ostica e difficile, orribile in quanto capace di suscitare meraviglia e stupore, un monstrum insomma.
Come tutto ciò possa riguardare la povera Sonja, anch’ella adolescente studentessa di scuola superiore in una piccola e deliziosa cittadina bavarese, è presto detto: la ragazza è così sveglia da vincere, in seguito ad un concorso, un viaggio premio all’estero, ma commette l’errore (chiamiamolo tale con il senno di poi) di partecipare alla medesima competizione l’anno seguente, indagando la vicenda della sua città durante il Terzo Reich, per scoprire come dietro una facciata di borghese rispettabilità si nasconda l’orrore della Shoah.
Le famiglie locali più in vista, appura Sonja, aderirono con fervore ed entusiasmo al regime nazista già dalla sua ascesa, sino a collaborare all’istituzione di otto campi di concentramento destinati soprattutto alla popolazione ebraica locale, i cui beni vennero interamente razziati. Nonostante le istituzioni cerchino di bloccare la ricerca di Sonja, la giovane persevera, e la ritroviamo alcuni anni dopo, sposata e con due figlie, studentessa universitaria di storia. La ragazza non esita ad andare in giudizio per avere accesso agli archivi locali, ma la sua vittoria (che le permette di trovare prove documentarie delle responsabilità indigene nel perpetrare la Shoah) è funestata da crescenti minacce e abusi verbali e fisici, sino a quando una bomba gettatale dentro casa rischia di ucciderle la famiglia, ed il marito esasperato la lascia.
Il film lascia aperta la possibilità di un lieto fine o quantomeno di un compromesso, perché per comprarne il silenzio i concittadini di Sonja, di fronte alla sua irremovibilità, cambiano strategia provando a blandirla con gloria ed onori purché la giovane donna interrompa le sue ricerche. Superfluo forse aggiungere che, dando ulteriore prova di fermezza e di coerenza morale, Sonja rifiuta i falsi onori tributateli.
Non ho mai avuto il piacere di conoscere Anna Rosmus, ovvero la figura reale che ha dato ispirazione al personaggio fittizio di Sonja, ma la me stessa ragazzina era rimasta molto colpita dall’apprendere che il film era tratto da una storia vera, e che da qualche parte nel mondo (perché ovviamente era stata costretta a lasciare la sua città natale, Passau) esisteva una signora poco più che trentenne all’epoca in cui era uscito La ragazza terribile, la quale continuava con successo a fare ricerca e a pubblicare studi sul tema.
Vero è che un ragazzo ha bisogno di modelli etici, e che dal De viris illustribus di Cornelio Nepote in poi ci è stata tramandata una storiografia moralistica la quale trae spunto dalle vite di uomini del passato per offrire esempi morali virtuosi. Del personaggio di Sonja e della vicenda che ne aveva ispirato la finzione cinematografica, mi aveva impressionato non il successo finale dopo anni di difficoltà, ma proprio la perseveranza.
Avevo avuto un sussulto quando la macchina da presa aveva inquadrato l’autrice di una delle telefonate minatorie ricevute dalla ragazza, e nella cabina telefonica c’era una donna in cui Sonja aveva creduto. Ero rimasta sconcertata dall’atteggiamento apparentemente mellifluo con cui i suoi concittadini la invitavano ad abbandonare la ricerca, alternando minacce neanche tanto velate a toni suadenti che richiamavano la possibilità di avere ancora una vita normale, se…
Se avesse interrotto un cammino di verità. Se avesse accettato di essere a conoscenza del male (chiamiamolo così per comodità) e restare in silenzio. Se non avesse voluto denunciare i soprusi del passato nazista e quelli contemporanei che ella stessa stava subendo a causa della sua indagine. Avevo sussultato, e con Sonja sofferto, quando anche l’unico affetto rimastole, quello del marito, si era dissolto cedendo alla stanchezza e alla incapacità di sostenere a tempo indeterminato il peso emotivo della solitudine, dell’ostilità, del clima diffuso di omertà ed ostracismo. A Sonja restavano le sue due bambine, certo, ma doveva insieme occuparsi di loro e continuare il percorso intrapreso con quel concorso, quando neppure sapeva in quale guaio si sarebbe cacciata.
Ma a me ragazzina tanto immedesimata nel personaggio di Sonja era evidente soprattutto la sofferta mancanza di alternativa: una volta in ballo bisogna ballare, certo che tutti vorremmo vivere una vita tranquilla ed occuparci dei casi nostri, ma in qualche modo gli eventi ci portano di fronte a soprusi ed ingiustizie che non possiamo evitare e fingere di non vedere. Mi colpivano, guardando La ragazza terribile, non tanto i perpetratori, coloro che si accanivano contro Sonja, quanto le figure collocate nella zona grigia, le persone acquiescenti e silenziosamente complici, le quali con il loro non prendere posizione o avallando in maniera silenziosa e strisciante la marginalizzazione di Sonja, di fatto erano comunque schierati con lo Yetzer Hara e con chi male pensava, male agiva e accettava il dispiegarsi del male. Ed in Sonja mi identificavo, perché con lei capivo che non c’era scelta: la giovane non avrebbe potuto interrompere la ricerca sul passato nazista, offrire le sue scuse a quanti aveva offeso e riprendere la sua tranquilla esistenza, perché oramai era consapevole e quindi moralmente responsabile di continuare il percorso. A costo di apparire “terribile” nella sua perseveranza, e per questo insultata, minacciata, sopraffatta, anche quando per la stanchezza avrebbe pensato di non farcela, anche dopo essere stata abbandonata dal marito che amava e nel cui sostegno confidava.
Novella Giona, Sonja non ha neppure il conforto del dialogo con D-o, ma il suo rigore morale non la può far deviare dalla via intrapresa, non solo per amore della verità tout court ma per rispetto verso se stessa. Sonja non danneggerebbe mai nessuno, ma non possiamo accettare le accuse rivoltele dal marito, secondo il quale la donna sta sacrificando tutto quanto di bello abbia e mettendo a repentaglio la vita delle persone a lei care, solo per un puntiglio. Sonja, sono convinta, non può fare altrimenti: lasciar perdere significherebbe accettare la prevaricazione passata (la persecuzione degli ebrei nella sua zona) e presente, con le angherie e le violenze esercitate dai suoi concittadini e cui di fatto persino il marito cede. Non è infatti necessario essere vittima di un sopruso per doversi schierare: anche soltanto esserne testimoni, e quindi subire la tentazione della maldicenza, del marginalizzare l’altro e dell’accettare la logica perversa della menzogna per quieto vivere, non può e non deve lasciare indifferenti.
Più precisamente, infatti, Hillel rabbenu ha detto: “Ciò che non è buono per te non lo fare al tuo prossimo. Il resto è commento. Vai e studia”.
Sara Valentina Di Palma
(15 ottobre 2015)