Il settimanAle – Sogno e realtà

alessandro-treves“Il sindaco della piccola cittadina che potrebbe riaccendere il Sionismo: bisogna che sia lui a dirigere il Keren Kayemeth” scrive Ari Shavit il 18 ottobre, offrendo un plateale appoggio a Michael Biton, il sindaco di Yeruham nel deserto del Negev. Yeruham me la ricordo come il luogo dimenticato da tutti e forse anche da Lui, dove erano stati schiaffati negli anni ’50 immigrati dal Marocco e dall’India, dove le mie cugine lavoravano volontarie nel sociale, e dove venne poi ambientata quella piccola perla di film israeliano che è stato “Per la fine del mondo, gira a sinistra”. Pare che sotto la guida di Biton si stia trasformando in una perla di sviluppo economico declinato sull’hi-tech e sulla formazione, un modello di come nel deserto, nel luogo dove si dice che Hagar abbia trovato l’acqua per Ismaele, possano rifiorire anche le componenti più reiette e svantaggiate della periferia israeliana. Almeno così scrive Shavit, che credo si stia un po’ sforzando di sognare un altro sogno.
Nel drammatico susseguirsi degli accoltellamenti, attentati suicidi di scarsa efficacia militare ma grande impatto psicologico, molti commentatori (dallo stesso Shavit a Barak Ravid, da Amos Harel a Asher Schechter) leggono infatti il realizzarsi del sogno dell’unico stato sulla Terra d’Israele, con Gerusalemme unificata a sua capitale – sogno per alcuni, incubo per altri, ormai un gorgo che sta inghiottendo gli uni e gli altri, a cominciare dai cittadini di Gerusalemme Est e di Gerusalemme Ovest. Ecco allora, osserva Nehemia Shtrasler il 17 ottobre, che il pragmatico primo ministro, mentre tanti suoi seguaci continuano ad accusare l’autorità palestinese, sembra aver cambiato atteggiamento e mirare ad una partizione de facto, almeno della Capitale. Non è chiaro se con l’orizzonte politico dei due stati, oppure di uno stato forte accanto ad un robusto contenitore a tenuta stagna.
Ma se davvero dovesse sorgere uno stato palestinese, chi lo governerebbe? Con intelligenza Alona Ferber riprende in mano il 14 ottobre il libro di Suad Amiry, sulle case palestinesi di Gerusalemme, che un anno fa, magra soddisfazione, io avevo proposto ai lettori di Iarchon. Un libro duro, che attraverso le storie degli anziani proprietari, borghesi ben distanti se non altro anagraficamente dai giovani aspiranti accoltellatori, ci fa vedere quanto difficile possa essere un processo di riconciliazione fra i due popoli.

Alessandro Treves, neuroscienziato

(19 ottobre 2015)