Premio letterario Adei Wizo
Petrowskaja:”Scrivo per colmare un vuoto”
Far conoscere la multiforme realtà ebraica contemporanea attraverso il potere della letteratura: questo la sfida che ha caratterizzato, 15 anni, fa l’istituzione del premio letterario dell’Adei Wizo, l’associazione donne ebree d’Italia. Un ampio lasso di tempo in cui la giuria del concorso (intitolato oggi alla memoria di Adelina Della Pergola) ha vagliato oltre 500 titoli, scegliendo di premiare per il 2015 “Forse Esther” (ed. Adelphi), il caso letterario firmato dalla scrittrice Katja Petrowskaja. Già protagonista di una grande intervista sul giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, Petrowskaja ha accolto il riconoscimento nel corso di un affollato evento svoltosi presso i Musei Capitolini. A Lia Levi, autrice de “Il braccialetto” (ed. e/0), è andato invece il Premio Ragazzi.
La duplice premiazione è stata inquadrata nella rassegna di più ampio respiro “Immagini e parole” proposta dall’Adei per permettere al pubblico di conoscere attività e obiettivi dell’associazione attraverso mostre, spettacoli e incontri culturali (la tre giorni romana, realizzata con il sostegno dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha avuto una medaglia dal Quirinale).
Dopo aver ricevuto il premio e risposto ad alcune domande della giornalista del Corriere della sera Laura Ballio, Petrowskaja ha preferito interrompersi e dedicare del tempo all’incontro con i lettori, spostando la sua attenzione da sé verso il pubblico con il quale si è trattenuta lungamente dimostrando l’attitudine anticonvenzionale che la contraddistingue, contravvenendo ai codici istituzionali. Nel parlare di “Forse Esther”, un viaggio tra le pagine nel quale riscopre la storia della propria famiglia drammaticamente intrecciata con la Shoah, la scrittrice ha confessato di aver avuto dentro di sé questo libro fin dall’asilo e di aver cercato di collegare le percezioni di quando era bambina con le vicende raccontate. Ha poi motivato la decisione di scrivere in lingua tedesca, appresa solo in un secondo momento, e non in russo “per tentare di ridonare innocenza a questa lingua”.
Tra i molti ospiti intervenuti alla premiazione, moderati dalla presidente nazionale Adei Wizo Ester Silvana Israel, la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello; il rabbino capo Riccardo Di Segni; Carla Di Veroli, responsabile delle Politiche delle Memoria per Roma Capitale; il presidente del primo municipio Sabrina Alfonsi; la presidente della sezione locale dell’Adei Paola Sonnino; la scrittrice Miriam Rebhun, in rappresentanza della giuria.
La lingua, elemento strutturale fondante di “Forse Esther”, è stato poi oggetto di un intervento della studiosa Donatella Di Cesare, che ha discusso la nascita della concezione di lingua madre, come lingua materna, e che, attraverso esempi di esperienze celebri come quelle della filosofa Hannah Arendt e del poeta Paul Celan, ha tratto delle conclusioni specificando che “ogni lingua ha paradossalmente limiti ma non barriere e attraverso la lingua siamo tutti profughi, migranti e non proprietari”.
Questa mattina invece la consegna del Premio Ragazzi. Intervenuta a nome del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Anna Piperno ha esaltato la scelta della letteratura come strumento per conoscere la storia attuale e quella del passato, fondamentale per le nuove generazioni. La parola è poi passata al rabbino e preside delle scuole medie e del liceo ebraico di Roma Benedetto Carucci e alla vincitrice, Lia Levi, introdotti da Sira Fatucci dell’UCEI. Rav Carucci in particolare ha presentato il libro in concorso “La tentazione del rabbino Fix” (ed. Giuntina) di Jacquot Grunewald, che pur non vincendo ha riscosso discreto successo nelle scuole: “Il romanzo – ha spiegato – si concentra sulla figura di un rabbino che dopo un omicidio indaga utilizzando i metodi che solitamente applica nello studio del Talmud. Le pagine riescono a rendere vividamente il ruolo del rabbino che ogni giorno deve barcamenarsi tra mille impegni ma che non smette mai di studiare e cercare. Ed effettivamente la scuola viene chiamata in ebraico Beit Hamidrash, che significa casa della ricerca ma anche investigazione”.
I riflettori poi si sono accesi sulla vincitrice, premiata dagli studenti per la sua capacità di descrivere luoghi, dettagli ed emozioni con cura certosina, che ha risposto alle numerose domande dei ragazzi. “Mi piace quell’immagine – ha spiegato –-che vede la letteratura come un cavallo di Troia che permette di entrare nella storia. C’è chi si sente schiacciato dalla letteratura sulla Shoah, ma io credo sia necessario ritornarvi per raccontare le storie delle persone, della gente comune”. A concludere la manifestazione, l’esibizione dei ragazzi di Beresheet LaShalom, associazione diretta da Angelica Calò Livne che, attraverso l’arte e il teatro, fa lavorare insieme ragazzi ebrei, cristiani, musulmani.
(20 ottobre 2015)