Nemici variabili
Nel corso della storia ogni popolo incontra una serie di persecutori e nemici che poi magari in epoche successive diventeranno amici mentre varie ragioni spingeranno a indirizzare odio e ostilità in altre direzioni, anche a costo di ritoccare un po’ la storia. Noi ebrei siamo stati per due millenni vittime di una simile trasposizione, da quando il Cristianesimo, divenuto religione ufficiale dell’Impero Romano che lo aveva inizialmente perseguitato, dovendo inevitabilmente convivere con la cultura latina e, anzi, inglobarla nel proprio sistema di valori, ha avuto bisogno di trovare qualcun altro contro cui sfogarsi. A volte notiamo curiose continuità: per esempio nella letteratura italiana i cattivi sono spesso i tedeschi, dai Germani al Barbarossa, dagli Austriaci ai nazisti; ma per capire quanto queste continuità siano in verità più apparenti che reali ci basta ricordare che Dante nel VI canto del Purgatorio invita l’imperatore tedesco a scendere in Italia per riportare la pace. Molto più frequenti sono le discontinuità clamorose, e l’Egitto nella storia ebraica è forse uno degli esempi più evidenti. Nella stessa Haggadah di Pesach la narrazione della schiavitù in Egitto inizia affermando che in realtà Lavan era peggio del Faraone; e, a supporto di questa dichiarazione un po’ sorprendente, si interpreta in modo insolito persino un verso della Torah, trasformando “Mio padre era un Arameo errante” in “L’Arameo voleva distruggere mio padre”. In generale mi sembra positiva questa propensione a sottolineare come il male sia subdolo e pervasivo e sia troppo comodo identificarlo con un nemico esterno a cui addossare tutte le colpe. Ma non per tutti i nemici la cultura e la storia ebraica consentono questo genere di relativizzazione. Il monito “Ricordati di quello che ti ha fatto Amalek” ci ricorda che purtroppo il destino del popolo ebraico è stato attraversato da un male che non si può né dimenticare né relativizzare.
Anna Segre, insegnante
(23 ottobre 2015)