…sicurezza

Credo che si potrebbe scrivere un libro sulla storia del rapporto fra civiltà ebraica e il concetto di sicurezza. L’idea di poter vivere in un luogo senza subire violenze e godendo di una sufficiente tranquillità per poter esercitare le proprie attività serenamente è sempre stata un elemento centrale. Una questione legata naturalmente allo status di minoranza. Si potrebbe andare molto indietro nel tempo, ma pensiamo alla richiesta che emerge nelle condotte ai prestatori ebrei ashkenaziti nel medioevo: provenivano dalle tragiche esperienze dell’epoca delle crociate, dai massacri della peste nera dovuti alla falsa accusa dell’avvelenamento dei pozzi, e allora quando venivano invitati in una città a fare i prestatori pretendevano clausole proprio legate alla sicurezza. O pensiamo ai gruppi di difesa organizzata per rispondere ai pogrom del 1903 in Moldavia, in Russia e in Bielorussia. Gruppi che erano stati creati anche in Italia un secolo prima, a Sinigaglia, quando i Viva Maria! minacciavano di distruggere le comunità considerate filo rivoluzionarie. Per il mondo tradizionale e osservante si trattava, in passato, di sforzi inutili. Solo il Signore poteva proteggere veramente, solo la preghiera a Lui poteva salvare dalle minacce. Un atteggiamento, un modo di comportarsi, che ha una lunghissima tradizione e che arriva fino ai giorni della Shoah, quando la preghiera diventa un modo per difendersi e per resistere per tanti e tanti milioni di ebrei. In tutti questi casi (e tanti altri ce ne sarebbero da analizzare) la sicurezza diventava il fine ultimo di un’attenta strategia. Contrattuale, nel caso dei prestatori medievali. Di resistenza attiva, nel caso di Kishinev o di Sinigaglia. Di pace interiore, nel caso del moto di preghiera e di fede. Di fronte ai fatti di Israele, alla stagione dei coltelli e della rabbia cieca che colpisce a casaccio e ferisce corpi e coscienze, quello che manca è proprio una strategia sulla sicurezza futura, una prospettiva percorribile e credibile che non sia ferma alla risposta quotidiana, pavloviana. La tattica del “tu colpisci, io reagisco” non regge, non dà frutti, e quel che è peggio non assicura sicurezza. Chi si assume responsabilità politiche ha il dovere di fornire questa strategia, queste risposte. Se non lo fa, ha fallito, con buona pace di ogni retorica.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(23 ottobre 2015)