Erich Kleiber, un musicista a testa alta
Che i compositori e musicisti ebrei siano stati colpiti dalla persecuzione fascista ancor prima della promulgazione delle leggi razziste era noto. I primi ordini ufficiosi “di ridurre musica ebraica alla radio”, infatti, furono impartiti da Mussolini al ministro della Cultura popolare Alfieri nel gennaio del ’38. Alcuni compositori ebrei, come Mario Castelnuovo Tedesco, lo seppero subito e cercarono di capire cosa stava succedendo, scrivendo a varie personalità del regime; il compositore Renzo Massarani, invece, si rivolse direttamente al duce, con una lettera drammatica; infine, le notizie filtrarono subito sulla stampa internazionale. Ciò che non era altrettanto noto, invece, era che la vicenda ebbe un complesso seguito alla fine del 1938. L’anno infatti si concluse con un annuncio del Teatro La Scala di Milano, pubblicato sul Corriere della Sera il 9 dicembre 1938, della revoca degli abbonamenti annuali ai sottoscrittori “appartenenti alla razza ebraica”: ad essere banditi non erano soltanto compositori, orchestrali e cantanti, ma anche il pubblico. Si trattava di una goccia nel mare dei provvedimenti persecutori già adottati e di quelli che a breve li avrebbero seguiti. Ma per il surplus inutilmente vessatorio che la caratterizzava, questa iniziativa ebbe una ricaduta internazionale fragorosa e, oggi possiamo sospettare, autorevole, e sicuramente non prevista dal management della Scala. L’11 dicembre ne parlò infatti brevemente l’inglese Observer, pronosticando che altri teatri italiani avrebbero potuto seguire l’esempio di quello milanese. Ma soprattutto, il 12-13 dicembre fu la volta dell’Osservatore Romano.
L’organo della Santa Sede pubblicò un corsivo intitolato “Ostracismi”, in cui l’iniziativa di “alcuni teatri” fu definita arbitraria, illecita e inutile, oltre che contraria alla solidarietà civile e alla carità cristiana. Un “esoso ed umiliante ostracismo”, che mirava a diffondere anche in Italia l’”odio di razza”. Ad un mese di distanza dagli articoli con il quale il quotidiano vaticano aveva denunciato il vulnus al Concordato provocato dal divieto di matrimoni misti, si trattava del primo intervento critico nei confronti degli effetti dei provvedimenti antiebraici in Italia. Pur non essendo quello del giornale vaticano un rifiuto incondizionato della legislazione antiebraica, ma solo delle sue “esasperazioni razzistiche”, era comunque un pronunciamento netto contro la diffusione del fanatismo razzista nella società italiana. L’articolo era noto agli storici. Ma oggi esso acquista nuovi significati e valenze. Un confronto di esso con la documentazione d’archivio riguardante l’accordo tra la Santa Sede (ovvero il pontefice) e Mussolini nell’agosto del 1938 a proposito di Azione Cattolica, razzismo ed ebrei porta a concludere che il corsivo del 12-13 dicembre fu una rottura del silenzio imposto da quell’accordo. Si profilava, anzi, come una vera e propria risposta proprio del pontefice al fallimento della trattativa sui matrimoni “misti”. La Segreteria di Stato, infatti, manifestò delle perplessità sull’opportunità di intervenire sulla questione degli spettacoli teatrali. Non era stata lei ad ispirare quell’articolo, che dunque, quasi di certo, era stato indotto dal papa. Ma anche il prosieguo della vicenda, che ora viene ricostruita con maggiori dettagli (nella mia relazione al convegno internazionale “I compositori e i musicisti ebrei italiani durante il fascismo”, organizzato dal Festival Viktor Ullmann e dall’Università degli Studi di Trieste-Dipartimento di Studi Umanistici a Trieste, al Teatro Lirico G. Verdi il 26 ottobre scorso) è rilevante. All’Osservatore Romano il 14-15 dicembre rispose il razzista Tevere con un corsivo beffardo, intitolato “Pàlpito e pùlpito”. Il giornale di Telesio Interlandi rintuzzò le critiche provenienti dal Vaticano ricordando le umiliazioni secolari inflitte dai papi agli ebrei, fra le quali venivano menzionate le prediche forzate e l’imposizione del berretto giallo. Ebbene, l’attacco del Tevere fu ripreso e rilanciato lo stesso giorno da un giornale di Torino, Stampa Sera.
Proprio a Torino si trovava, per dirigere al Teatro dell’Eia, il maestro Erich Kleiber (che non era ebreo, ma cattolico), che così seppe dell’iniziativa della Scala. La sua reazione fu drastica: inviò una lettera al teatro milanese, che l’aveva ingaggiato per dirigere il Fidelio di Beethoven, e ruppe il contratto, spiegando di non volersi rendere complice di un’ingiustizia, né come cristiano né come artista. La protesta di Kleiber fece il giro del mondo: a parlarne furono soprattutto i grandi quotidiani americani e inglesi (New York Times, Washington Post, Times, Manchester Guardian), ma non solo, e poi la stampa ebraica. La Scala, a quel punto, fu costretta a rispondere, ma lo fece in modo piuttosto maldestro: al Washington Post smentì che agli ebrei fosse stato impedito di assistere agli spettacoli, affermando che essi potevano comprare dei biglietti singoli, al posto degli abbonamenti. E con un comunicato stampa annunciò di aver sostituito il maestro Kleiber con il direttore d’orchestra tedesco Wilhelm Sieben.
Commentando la protesta di Kleiber, il settimanale di Boston, The Jewish Advocate, scrisse che con il suo gesto il maestro si era posto al fianco di altri musicisti cristiani, come Toscanini, che avevano mostrato di essere non solo grandi musicisti, ma grandi uomini. L’articolo dell’Osservatore Romano aveva fatto una lunga strada. E contro il razzismo fascista era emerso un grande uomo. (estratto dalla relazione al convegno internazionale Compositori e musicisti ebrei italiani durante il fascismo – Trieste, ottobre 2015).
Annalisa Capristo, Pagine Ebraiche, Novembre 2015
(26 ottobre 2015)