Qui Roma – Il convegno alla Farnesina
I media e la guerra al fanatismo
Con un numero sempre crescente di video diffusi in rete, messaggi che circolano sui quotidiani, e immagini e storie che arrivano nelle case di tutto il mondo, la battaglia contro il terrorismo si combatte anche attraverso i giornali, la televisione e il web. A questo aspetto del fenomeno che sconvolge l’attualità è dedicato il convegno “Radicalismi, censura e dialogo nei media e nelle società musulmane”, in corso presso il Ministero degli Affari Esteri, promosso da Reset – Dialogues on Civilizations, associazione di ricerca nel campo dei diritti umani. Sotto la direzione di Giancarlo Bosetti, che ha introdotto il convegno, Reset ha fondato nel 2013 l’Arab Media Report, un osservatorio su tv, stampa e social network nei paesi arabi e nei paesi a maggioranza musulmana per raggiungere una maggiore consapevolezza di come essi stiano creando nuovi orizzonti culturali, sociali e politici in Medio Oriente.
Per reagire e prevenire il radicalismo, Armando Barucco, a capo dell’Unità di analisi, programmazione e documentazione storico-diplomatica della Farnesina, ha messo in evidenza la “necessità di produrre una contro-narrativa in grado di rispondere a tali messaggi”. Una sfida fondamentale per la diplomazia e il mondo dei media occidentali, ha aggiunto Giuseppe Perrone, direttore centrale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente del Ministero, che non può tuttavia significare “l’imposizione di un messaggio dall’esterno, ma deve aver luogo all’interno della collettività e con un coinvolgimento dei governi locali, un approccio da sempre tipico della diplomazia italiana”.
Alla base del lavoro per produrre tale contro-narrativa, ha spiegato l’orientalista e politologo francese Olivier Roy, vi deve essere una conoscenza approfondita delle strategie di comunicazione delle organizzazioni terroristiche. “Quella dell’Isis – ha osservato Roy – è una narrativa della jihad molto moderna, che utilizza strategie comunicative diverse nel rivolgersi al pubblico locale, a quello più ampio del Medio Oriente, e infine a quello globale”. Il Califfato, ha sottolineato, “non parla alla comunità ma all’individuo, con un forte invito personale all’eroismo”, e unirsi alle sue schiere come combattenti da tutte le parti del mondo non sono infatti uomini e donne imbevuti di un’ideologia, bensì molti giovani, che spesso vanno anche contro la volontà dei genitori. Una situazione molto diversa rispetto a quella del terrorismo palestinese: “Se un giovane decide di combattere per la jihad – ha affermato il politologo – la famiglia non l’avrà per forza spinto, ma ne comprenderà i motivi”.
“Non possiamo lavorare a una contro-narrativa – la conclusione di Roy – se non conosciamo a fondo la loro narrativa”. E su quest’ultima si è concentrato l’intervento di Fawaz Gergez, docente di relazioni internazionali alla London School of Economics, che ha analizzato analogie e differenze tra la comunicazione di Al Qaeda e dell’Isis. “Il messaggio più forte comunicato attraverso i canali di entrambe le organizzazioni è che esse sono forti e stanno prevalendo – ha rilevato – e sebbene non vi sia un loro ritratto positivo in nessun organo di stampa in tutto il mondo, esse vengono comunque sempre dipinte come invincibili”. Questo secondo lui il presupposto da sradicare attraverso la contro-narrativa.
Un esempio della quale è offerto dai molti casi in cui si è risposto alla violenza attraverso il senso dell’umorismo. Una breve analisi e rassegna è stata offerta da Ursula Lindsay, scrittrice e reporter dal Medio Oriente. “La contro-narrativa – la sua osservazione – non deve provenire solo dagli organi ufficiali ma può nascere anche in modo genuino e spontaneo fra la gente, un segnale importante per la libertà di espressione”.
Nel pomeriggio sono previste una sessione concentrata su “L’apparato mediatico iraniano tra la censura del regime e la creatività delle start-up” e una conclusiva su “I media turchi, da campo di battaglia a canale di soft power”.
Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked
(27 ottobre 2015)