Qui Roma – Quel linguaggio che unisce

Schermata 10-2457325 alle 12.32.38Cinquant’anni dopo Nostra Aetate, il documento che segnò l’apertura della Chiesa cattolica nei confronti dell’ebraismo e delle diverse fedi, la prima sfida per favorire la pace e il dialogo interreligioso continua ad essere l’educazione. A confrontarsi sul tema, nella sessione conclusiva della tre giorni organizzata dall’Università Gregoriana, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, Nayla Tabbara (dell’Associazione libanese Adyan), Samani Pratibha Pragya (Jain Vishwa Bharati – Regno Unito), Brinder Singh Mahon (che ha parlato a nome di Gurmohan Singh Walia, Sri Guru Granth Sahib World University – India) moderati da Bryan Lobo della Gregoriana.
“Sono appena arrivato da un altro convegno in Polonia – ha esordito rav Di Segni – dove ho avuto modo di discutere su Nostra Aetate. Mi rende particolarmente felice poter parlare del tema dell’educazione perché trovo sia un argomento concreto, attraverso il quale ci si immerge nella realtà di tutti i giorni. Per l’ebraismo la formazione è fondamentale. Un ebreo ha il dovere di studiare e deve iniziare da quando è in grado di intendere e volere fino alla sua morte. Obbligatoria è anche la trasmissione: ogni giorno recitiamo il passo del Deuteronomio nel quale è scritto ‘lo inculcherai ai tuoi figli’, la parola usata deriva da shen, che significa dente, perché in qualche modo lo studio deve essere affilato ed affinato”.
“L’educazione da impartire deve essere critica – prosegue – deve portare a fare un ragionamento e a formulare un pensiero proprio, rielaborando le informazioni. Uno studio che deve necessariamente iniziare nell’ambiente domestico attraverso il calore della famiglia. La famiglia trasmette infatti l’identità tramite l’osservanza delle norme alimentari e delle feste, è poi inconcepibile per una comunità ebraica non avere una scuola. La nuova sfida passa per il web: dobbiamo riuscire a trasformare gli strumenti interattivi in qualcosa che favorisca l’apprendimento”.
Rispondendo alle domande del pubblico rav Di Segni fa poi due ultime riflessioni: “C’è un’urgenza: quella di conoscere le altre religioni soprattutto l’Islam, creare strutture nelle quali far studiare i nostri giovani potrebbe essere utile ma è un progetto sul quale è necessario lavorarci sopra”. Riguardo l’insegnamento della religione nelle scuole, conclude: “Quando si parla di insegnamento della Bibbia nelle scuole sono parzialmente d’accordo ma mi chiedo: quale Bibbia si insegna e chi la insegna? C’è infatti differenza tra quella cattolica e quella ebraica e non può essere spiegata come un fenomeno culturale. La Torah è il nostro libro sacro e insegnarla al pari di Dante o dei Promessi sposi significa dissacrarla”.
A prendere la parola anche Brinder Singh Mahon che ha portato il punto di vista Sikh: “Per noi è fondamentale avere una vita disciplinata da valori universali che distinguono gli esseri umani dalle altre creature. È importante che l’educazione abbia un approccio olistico e che tratti gli aspetti morali e religiosi senza decadere nel mero materialismo. La scuola che gestiamo nel Regno Unito, e per cui ringraziamo il governo, si basa sull’importanza di studiare le altre fedi sviluppando un senso di rispetto reciproco, una materia importante quanto la matematica necessaria per formare i leader del domani”.
Nayla Tabbara presenta l’associazione Adyan che in Libano lavora per garantire un dialogo tra cristiani e musulmani: “Ho studiato 14 anni fa in questa università, un’opportunità resa possibile proprio grazie a Nostra Aetate e che mi ha permesso di interrogarmi su questioni come ‘Cosa penserà l’altro di me?’, ‘Crede che per me ci sarà la Salvezza?’. Quello che ci proponiamo attraverso la nostra associazione è l’accettazione del fatto che ognuno viva la propria religione nella pienezza del suo significato considerando anche quella dell’altro. Vogliamo poi capire come la religione si sposi con la vita pubblica riflettendo sul concetto di cittadinanza”.
Si apre con una preghiera l’intervento di Samani Pratibha Pragyam, monaca giainista: “La nostra religione parte da una vittoria spirituale che riesce a sconfiggere i nemici interni, ovvero la rabbia e la cupidigia. Il nostro percorso di preparazione dura 12 anni ed è una formazione sotto tutti i punti di vista. L’educazione ha diversi stadi e accoglie in sé anche la differenziazione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma il nostro più importante fondamento si basa su un apprendimento continuo che trae insegnamento dalle altre religioni”. In conclusione, le parole del cardinale Pietro Parolin: “Educare alla pace le nuove generazione è possibile e doveroso. Una necessità attualmente più urgente che mai”.
La Nostra Aetate come spartiacque nella lotta all’intolleranza, chiunque essa riguardi. Questa la prospettiva al centro di un convegno svoltosi nelle scorse ore presso l’Università John Cabot. Introdotti dal presidente Franco Pavoncello, diversi relatori si sono infatti confrontati sulla sfida del dialogo interreligioso e in particolare sull’impegno comune, a prescindere dalle proprie appartenenze, contro la minaccia dell’antisemitismo e dell’islamofobia.
In queste stesse ore prende intanto avvio, a Castel Gandolfo, la riunione del direttivo europeo di Religions for Peace. Numerosi gli interventi che accompagneranno l’iniziativa fino alla giornata di domenica. Tra le altre è prevista una relazione di Lisa Palmieri-Billig, rappresentante per l’Italia e presso la Santa Sede dell’American Jewish Committee.
Scrive Palmieri-Billig in una riflessione pubblicata dalla Stampa (Vatican Insider): “Istituzionalizzando un nuovo rispetto per la fede ebraica nel cattolicesimo, Nostra Aetate ha contribuito in maniera efficace a creare un’immagine più positiva e fiduciosa del cristianesimo (e delle altre religioni) nella psiche ebraica, dopo secoli di sofferenza e di persecuzioni”.

(29 ottobre 2015)