Il settimanAle – Ospedali
“Come potevo osare io, direttore non-ebreo, licenziare un medico ebreo?” …niente paura, non si tratta di intercettazioni. Lo racconta il dottor Masad Barhoum, da otto anni direttore dell’ospedale di Nahariya – Centro Sanitario della Galilea, a Smadar Shir su Ynet del 24 ottobre. Uno dei tanti episodi, nella sua esperienza di primo direttore di un ospedale statale israeliano scelto fra la minoranza araba, che illustrano, con quelli di molti altri medici, come le faglie intersecantesi di cittadinanza ed etnia non si fermino sulla soglia della casa di cura, dove teoricamente si segue solo il giuramento di Ippocrate. Si possono così accostare il reportage di Yfat Ehrlich, su Ynet del 20 ottobre, sulla ‘fragile coesistenza’ fra vittime e perpetratori di accoltellamenti, curati da medici arabi ed ebrei all’ospedale Hadassah di Gerusalemme Ovest, con quello di Nir Hasson il 29 ottobre su Haaretz, dall’ospedale Makassed di Gerusalemme Est, dove i poliziotti israeliani sono entrati a cercare un ragazzino sospettato di aver partecipato agli scontri, ed hanno trovato il file che dimostra come fosse stato ricoverato lì (secondo la polizia) ovvero non l’hanno trovato perché non era stato ricoverato lì (secondo i dirigenti dell’ospedale). Una buona notizia è che non è morta Asra’a Zidan Abed, la madre divorziata di Nazareth che, in procinto di frequentare un Master in ingegneria genetica al Technion, aveva brandito un coltello alla stazione degli autobus di Afula, e cui i poliziotti avevano prontamente sparato. Le stesse forze di sicurezza, come riferisce Jack Khoury il 28 ottobre su Haaretz, hanno poi concluso che quello strano attacco non eseguito, ma solo minacciato a distanza, era in realtà un tentativo di suicidio di una persona in grave difficoltà. Chissà che il suo essere sopravvissuta non sia di buon auspicio anche per il tentato suicidio dell’idea sionista…
Alessandro Treves, neuroscienziato
(1 novembre 2015)