… attualità
Credevo di aver finito di dire il disorientamento di un ebreo di fronte alle notizie di questi giorni, ma non c’è evidentemente fine allo stupore. È come se, per qualche qualche strana congiunzione astrale, la nostra coscienza fosse messa quotidianamente alla prova dagli accadimenti del mondo, piccoli e grandi, ridicoli e spietati. Così, ci sono dei martedì in cui, dovendo scrivere le tue due righe per Pagine Ebraiche, devi cercare ispirazione negli angoli più riposti dell’attualità, e giorni invece in cui la mente ti si perde fra le troppe notizie e le sfrangiate letture che se ne possono ricavare.
Israele sempre più nel mirino dell’opinione pubblica e della stampa, attaccata ferocemente sui social media e demonizzata come mai prima, e i palestinesi armati di coltello che mettono in scena con successo la loro disperata pallywood. Netanyahu impegnato in ogni modo a dimostrare che non esiste altra soluzione per Israele che l’angosciante situazione attuale. Sono tornato da una Gerusalemme spettrale. Il Mamilla Avenue tranquillo e semideserto, e così il mercato di Mahané Yehuda, di solito brulicante di vita. Nessuno ti spintonava, nessuno ti attirava gridando al suo negozio, come per rassegnata accettazione dello status quo. Eppure molti sembrano essere soddisfatti, anche se arrabbiati.
Provo invidia. Continuo a invidiare gli amici che riescono a rappresentare senza mostra di crisi le loro sicure verità. Coloro che riescono a dire che Tavecchio, il presidente della Federcalcio, è sì antisemita e omofobo, ma è amico del calcio israeliano, e quindi va bene così. Coloro che hanno la forza di zittire le voci critiche sullo scandalo dell’Ospedale Israelitico a Roma, ‘per non dar loro troppa visibilità’, come se i fatti in sé non fossero gravi a sufficienza per far rivoltare le coscienze per bene. Tutte, senza possibile eccezione. Coloro che propongono una spiegazione pronta e convincente per l’abitante estremista di un insediamento che ha accoltellato il rabbino Arik Ascherman, presidente dei ‘Rabbini per i diritti umani’, che con i suoi fa la guardia agli uliveti palestinesi per impedire che ‘qualcuno’ li incendi e glieli distrugga. Coloro che si scandalizzano per la rappresentazione di Netanyahu come nazista, ma riescono a dimenticare che fu proprio lui ad attaccare Rabin mentre i suoi sostenitori infervorati alzavano poster dello statista (che a breve sarebbe stato assassinato) in divisa da SS. E dimenticano che Rabin l’avvio della spirale di violenza l’aveva denunciata a chiare lettere. E puntuale si verificò, mandando poco dopo al potere Netanyahu. Ora in qualche stadio di calcio i tifosi inneggiano a Yigal Amir, l’assassino. Qualcuno deve averlo evidentemente acceso e infiammato tutto questo ammirevole entusiasmo.
Qui, poi, le mie idee si fanno ancora più confuse, obnubilate probabilmente dalla poca fede nell’assoluto. Non mi è chiaro infatti il motivo per cui Netanyahu, primo ministro israeliano, non sia stato presente alla commemorazione del Primo Ministro Rabin, nella piazza dei centomila. Temeva di disturbare? Si sentiva fuori luogo? Aveva altri impegni? O magari voleva evitare di dover dire parole che non aveva alcuna intenzione di pronunciare? Ci sono cose che per fortuna non capisco.
È un fatto che Netanyahu non c’era, e le cose che avrebbe dovuto dire non le ha dette, e per contro c’è chi dà spazio a elucubrazioni su quanto poco successo avrebbe avuto, in fin dei conti, la linea pacifista di Rabin, come se qualcuno avesse fra le mani la sfera di cristallo della storia. Perché qualcuno è certo che la situazione angosciante, disperata e senza uscita di oggi sia meglio di qualsiasi altra situazione si sarebbe potuta sviluppare dalle idee concilianti di Rabin. E a quel qualcuno non interessa affatto sapere chi, oltre a Yigal Amir, abbia le mani sporche del sangue di Rabin.
Ho la sensazione che con Rabin sia stata uccisa una possibilità di pace, non certa, ma possibile. Che con Rabin sia stata negata la disponibilità a credere che anche il tuo nemico, malgrado tutto, possa avere delle ragioni. Che con lui sia stata rifiutata l’idea fondamentale e risolutiva che la pace la si fa solo e proprio con il nemico. Una cinquantina d’anni fa, un amico shaliach del Bené Akiva sosteneva che solo un governo forte di destra avrebbe potuto arrivare alla pace: nessuno da sinistra lo avrebbe potuto contestare. Cinquant’anni dopo, e dopo una quarantina d’anni di governi di destra, tutto è rimasto uguale, anzi è peggiorato, e se uno spiraglio di pace si era aperto in fondo al tunnel, quello spiraglio è stato ucciso. Rappresentato in divisa nazista.
L’anarchia dei fatti non può che essere confusione di idee, di logica, di sintassi. Beato chi, sui fatti, ha la sintassi bella chiara. Viva Tavecchio!
Dario Calimani, anglista
(3 novembre 2015)