Proprietà privata
Chi ha almeno un po’ di dimestichezza con l’halakhah non si sorprende più di tanto scoprendo che i danni causati da un animale che mangia un cibo inconsueto o la raccolta delle olive cadute in terra possono essere utilizzati per stabilire le regole relative ai diritti d’autore. Ma è comunque sempre affascinante il modo in cui l’ebraismo riesce ad affrontare temi assai complessi e di strettissima attualità basandosi sulle fonti tradizionali: un metodo che ci costringe a inquadrare i problemi con chiarezza e mettere a fuoco gli elementi essenziali delle questioni discusse e i valori in gioco (il divieto di rubare, il dovere di retribuire adeguatamente chi ha svolto un lavoro, ecc.). Il tema dei diritti d’autore secondo l’halakhah è stato trattato da rav Ariel Di Porto nell’ambito dello Shabbat Project torinese (che tra cibo, lezioni e discussioni varie ha occupato piacevolmente l’intera giornata dalle tefillot del mattino a quelle serali) e l’ho trovato particolarmente affascinante per le innumerevoli sfaccettature e possibili applicazioni nell’ambito della vita quotidiana, dai software ai libri che riproducono parti di altri libri senza il consenso dell’autore. Altre possibili questioni mi vengono in mente mentre ascolto la lezione, per esempio i problemi relativi ai brevetti sui farmaci. Un caso che ho trovato molto intrigante tra gli esempi portati da rav Di Porto è il seguente: i figli di un rabbino che aveva scritto un libro di Torah hanno diritto di stamparlo dopo la sua morte nonostante il padre avesse ordinato loro di bruciarlo? Qui le cose si complicano ulteriormente perché entra in gioco pure il dovere di insegnare la Torah, ma anche prescindendo dal contenuto del libro la questione non perde il suo fascino, tanto più che la storia della letteratura è piena di storie simili a questa, da Virgilio a Kafka, e ciascuna di esse offre lo spunto per infinite discussioni. Mentre cerco di mettere a fuoco la questione nella mia testa, mi accorgo di un elemento in comune con il problema dei brevetti sui farmaci che mi era venuto in mente poco prima: in quale misura la proprietà privata è sacra? In quali casi può passare in secondo piano in vista di un vantaggio per l’intera società? Ovviamente non esiste una risposta ebraica univoca a queste domande, e infatti nel corso della storia sono sempre esistiti, ed esistono tuttora, ebrei liberisti ed ebrei comunisti, con tutta l’infinita varietà di sfaccettature intermedie; ciascuno troverà poi facilmente qualche base halakhica adatta a suffragare la propria opinione.
Anna Segre, insegnante
(6 novembre 2015)