Oltre mare – Vent’anni, nessuna novità
Se avessi spazio, dedicherei questo mio Oltremare settimanale alla dissezione sequenza per sequenza del film di Amos Gitai “Rabin, l’ultimo giorno”. Un film purtroppo deludente, che non aggiunge nulla a quello che tutti sappiamo. Nessun pathos, una sceneggiatura minimalista, musiche da suspence in totale assenza di climax, dialoghi presi pari pari dalla realtà e riposizionati modello costruzione di lego, freddi cubetti e nessuna sorpresa. Si sa che sono una buonista, e io i film li amo, e anche quando li critico è perché mi hanno colpita. Questo no. Il film di Gitai è una immensa, cubitale occasione persa, e siccome parla di un argomento che mi sta particolarmente a cuore, la delusione è forse più tagliente. Non che non vada visto, anzi. Due ore e mezza di un lungo pomeriggio invernale, in cui deve perlomeno piovere.
Poi a cercar bene un pregio ce l’ha: ricorda con lucida praticità l’attiva partecipazione di Bibi nella campagna di demonizzazione di Rabin (e Peres), con filmati che tutti gli israeliani hanno bene in mente, ma che forse fuori Israele è bene rispolverare. I poster con Rabin vestito da SS, Rabin con la kefiah, vernice rossa che cola a imitare il sangue, i cori da hooligan “morte a Rabin, Rabin traditore”. Da quel balconcino su Yaffo Street, Bibi ha fatto un salto non troppo lungo poi, quando alle elezioni dopo l’omicidio è diventato il successore di Rabin, e sappiamo (vediamo al tiggi’ ogni giorno) come è poi finita.
Che Amos Gitai, nella sua assoluta libertà creativa, abbia deciso di fare un film che ha anche un lato politico molto chiaro, è legittimo. L’unica cosa che posso opporre è che però la figura – anche politica – dell’assassino, recitato benissimo da un attore che gli somiglia in modo raggelante, non ne esce per nulla chiara. E fra coloni attaccabrighe armati fino ai denti, rabbini che si riuniscono per praticare maledizioni cabbalistiche, e insegnanti che seminano odio invece che Torah, ancora non si spiega come nessuno l’abbia visto, mentre si avvicinava a Rabin, e sparava.
Daniela Fubini, Tel Aviv
(9 novembre 2015)