“Niente divorzio, niente sinagoga”
Voci rabbiche a confronto
Da quindici lunghi anni la signora Rivka, ebrea londinese, aspetta che il suo ex marito, John Abayahoudayan, le conceda il get, il divorzio religioso.
Secondo la legge ebraica infatti solo il marito può sciogliere la moglie dal vincolo matrimoniale, altrimenti resta una agunah, una donna “incatenata”, e dunque non può risposarsi. Una situazione purtroppo ben nota, che spesso si ripropone all’interno delle comunità ebraiche del mondo intero e che ha visto una durissima e importante presa di posizione da parte del Bet Din, il tribunale rabbinico, di Londra. Attraverso un avviso pubblicato sul giornale ebraico inglese Jewish Chronicle, il Bet Din locale ha infatti bandito l’entrata di John Abayahoudayan nelle sinagoghe, fintanto che egli non “libererà” la sua ex moglie. Nella nota, corredata da una foto di Abayahoudayan, oltre a diffidarlo, viene suggerito ai membri della comunità di considerare se sia appropriato o meno entrare in affari e stringere rapporti sociali con lui.
A Pagine Ebraiche il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni spiega: “Non conosco il caso specifico, dunque non posso commentarlo. Ma credo che qualsiasi misura adottata per cercare di risolvere situazioni simili sia la benvenuta. Ovviamente le soluzioni variano di contesto in contesto: a certi ad esempio non farebbe alcuna differenza avere il divieto di entrare in sinagoga. In Italia inoltre il Bet Din ha le mani legate, dipendendo dalle leggi dello Stato: diffondere un avviso del genere con tanto di fotografia potrebbe essere considerata una violazione della privacy e avere conseguenze legali”.
“In Italia – prosegue rav Di Segni – abbiamo avuto casi simili, che hanno erano legati a controversie familiari. Per tentare di arginare la situazione abbiamo messo appunto una formula, classificabile come un contratto pre-matrimoniale, che prevede un risarcimento in termini economici in caso di inadempienza. Una soluzione che in America è oramai obbligatoria ma che in Italia stenta ancora a decollare perché vista come un’ingerenza o un segno di cattivo augurio”.
“Ogni caso va valutato attentamente – aggiunge rav Alberto Moshe Somekh – ma se la moglie ha valide ragioni per ottenere il get, credo sia più che legittimo un intervento del genere. Episodi simili risultano essere un grosso problema perché, de iure, il divorzio nella religione ebraica deve essere dato in ultima battuta dal marito e i principi non possono essere cambiati. Se il Bet Din d’Israele ha potere giuridico che può portare addirittura all’incarcerazione del marito inadempiente, fuori da Israele si può ricorrere all’esclusione dalla vita comunitaria imponendo una certa pressione sociale. In definitiva il tribunale rabbinico ha il dovere di soccorrere una donna che subisce maltrattamenti o inadempienze da parte del marito”.
“Il Bet Din e io – ha commentato il rabbino capo del Commonwealth Ephraim Mirvis – vogliamo mandare il messaggio più forte possibile rivolto a coloro che abusano dei principi halakhici, causando dolore e sofferenza, e faremo tutto quello che è in nostro potere per porre fine a questi abusi e supportare chi ne subisce le conseguenze”.
Quella di Rivka è una delle tante storie che compongono questo mosaico: nel 1990 Adina Porat ha sposato in Israele suo marito, che nel 2007 ha lasciato lei e i suoi figli per trasferirsi in America e da allora si rifiuta di concederle il divorzio. Una condizione di estrema difficoltà che ha portato l’organizzazione Ora (Organization of the resolution of agunot) a mobilitarsi per lei e a lanciare il sito freeadina.com con tanto di manifestazioni in piazza in Ohio. A raccontare nitidamente il dramma di donne legate da un destino simile è stato infine, lo scorso anno, Gett, pellicola israeliana di Ronit e Shlomi Elkabetz (selezionato nella categoria “miglior film straniero” agli Oscar) che portava coraggiosamente sullo schermo la vicenda della protagonista Viviane, una ebrea marocchina che per anni lotta per riconquistare la sua libertà.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(Nell’immagine l’avviso pubblicato dal Bet Din di Londra)
(10 novembre 2015)