André Glucksmann (1937-2015)
“Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” scriveva Eugenio Montale. Ed effettivamente di André Glucksmann, il filosofo francese morto ieri a 78 anni, si poteva dire proprio questo; ciò che non era: non era un nichilista, non era a favore di regimi totalitari e soprattutto non era indifferente.
Nei suoi anni di militanza ha cambiato idea molte volte senza vergognarsene, ha indossato abiti diversi e messo sulla graticola destra e sinistra senza partiti presi. A rimanere sempre uguali sono stati i suoi iconici capelli dal taglio definito “alla Giovanna d’Arco”, testimone del suo passato di attivista e animatore del maggio del ’68.
Nato il 19 giugno del 1937, fu segnato irrimediabilmente dalla Seconda guerra mondiale. I genitori, ebrei ashkenaziti provenienti dall’ex Impero Austro-ungarico, si conobbero a Gerusalemme e tornarono poi in Europa per combattere il nazismo. Il padre, Rubin, morì poco prima della guerra, la madre Martha divenne una resistente e venne incarcerata. Lui fu uno dei tanti bambini lasciati soli che si avvicinarono ben presto al partito comunista francese.
Militante maoista, dopo il conflitto animò le file dell’estrema sinistra, lavorando però come ricercatore sotto la direzione di Raymond Aron, scagliatosi contro il movimento del ’68 e posto storicamente in maniera antitetica a Jean Paul Sartre. Il 1975 segnò quella che viene definita la clamorosa rivoluzione di pensiero di Glucksmann: la pubblicazione del saggio La Cuisinière et le Mangeur d’Hommes – Réflexions sur l’État, le marxisme et les camps de concentration, La Cuoca E Il Mangia-uomini, Sui Rapporti Tra Stato Marxismo E Campi Di Concentramento nel quale ritrattava le proprie posizioni marxiste dopo esser venuto a conoscenza dei gulag sovietici. “Il marxismo non produce solo paradossi scientifici ma anche i campi di concentramento”, dirà provocatorio.
Quello fu uno dei primi stravolgimenti che diedero il via a diverse folgorazioni, passi indietro, ammissioni di sbagli e prese di coscienza, che partivano da quel principio fondamentale e inalienabile che Glucksmann difese per tutta la sua vita: la difesa dei diritti dell’uomo, indipendentemente dai colori politici o dai dogmi della dottrina.
Un attivismo che raggiunse il suo apice quando nel 1978 riunì gli storici rivali Raymond Aron e Jean Paul Sartre, accompagnandoli all’Eliseo per chiedere al presidente francese di allora, Valery Giscard d’Estaing, di accogliere i profughi vietnamiti in fuga dalla sanguinosa guerra che infuriava.
In quegli stessi anni la fama del filosofo divenne inarrestabile; con la divisa d’ordinanza jeans-maglione e l’immancabile taglio di capelli, si trasforma in uno degli ospiti privilegiati dei talk show politici apparendo spesso alla tv francese (indimenticabile lo scontro con il comunista René Andrieu alla trasmissione Question de temps).
Una celebrità conquistata assieme a Bernard-Henri Lévy e che contrassegnerà i due come i principali esponenti della generazione dei nouveaux philosophes, nati a seguito della rottura con il marxismo dopo la denuncia fatta da Aleksandr Solženicyn nel libro L’arcipelago Gulag.
Ricordandolo oggi sulle colonne del Corriere della sera, Levy ha scritto: “C’è il Glucksmann che nessuna contrarietà, nessuna sconfitta, nessuna verità cosiddetta rivelata dai sedicenti esperti ha mai dissuaso dal rimanere fedele al suo modo di pensare il mondo”.
Negli anni si è battuto strenuamente per ciò in cui credeva: ha messo in guardia sul pericolo dell’estremismo islamico (“il nichilista, il fondamentalista islamico, il bolscevico e il fascista non indietreggiano di fonte a nulla” scrisse), ha sposato la causa della Cecenia e poi dell’Ucraina con coraggio e senza temere le ritorsioni di Putin.
Quando nel 2004 l’allora premier israeliano Ariel Sharon ha invitato gli ebrei francesi a trasferirsi in massa in Israele, il filosofo scrisse su Ha’aretz: “Non è tempo per i francesi di origine ebraica di fare le valige e andare via. Non ci sarà una seconda Notte dei cristalli. Questa ondata di rabbia e stupidità sta raggiungendo anche altre spiagge e ogni cittadino con buonsenso, che sia ebreo o no, ha il dovere di contrastare questa malattia mentale contagiosa da casa propria”.
Nel 2007 ha inaspettatamente proclamato di appoggiare Nicolas Sarkozy alle elezioni con un intervento su Le Monde, salvo poi cambiare opinione perché più interessato a tutelare i diritti dei rom in netta opposizione con la destra francese. Si è arrabbiato molto, indignato sempre, di fronte ad un mondo cieco e muto.
In queste ore si stanno moltiplicando gli omaggi dei compagni di battaglie e degli storici avversari perché, che si sia d’accordo o meno, Glucksmann ha lasciato inevitabilmente un vuoto dietro di sé. “Ho perso il mio primo e migliore amico” ha annunciato il figlio Raphaël, “Saluto la memoria di André Glucksmann. Ha ascoltato ogni giorno la sofferenza delle persone e non si è rassegnato alla fatalità della guerra” scrive il presidente Hollande, sostenuto dal Primo ministro Valls: “L’indignazione, la sorte dei popoli e il rigore intellettuale: Glucksmann guidava le coscienze. Ci mancherà”. A ricordarlo anche Nicolas Sarkozy: “Glucksmann era un uomo la cui amicizia ci onora. Il suo pensiero, mai prigioniero dei diktat ideologici gli sopravviverà”. Esther Benbassa, direttrice dell’Ecole pratique des hautes études alla Sorbona e specializzata in storia ebraica, aggiunge: “Glucksmann è morto. Comunque la si pensi riguardo le sue recenti prese di posizioni, egli ci lascia orfani. Lui sapeva cosa significava l’indignazione”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(11 novembre 2015)