Qui Roma – L’opera di Belpoliti sullo scrittore
Levi, l’uomo che voleva capire

belpoliti copertina Oltre settecento pagine, arricchite da saggi, documenti e fotografie, che raccontano il pluridecennale lavoro dello scrittore e saggista Marco Belpoliti sull’opera di Primo Levi. Un libro che va a fondo e analizza il Levi scrittore, testimone, chimico e uomo per raccontarlo di “fronte e di profilo”. Presentato ieri a Roma alla Biblioteca Angelica, Primo Levi. Di fronte e di profilo (Guanda) è stato al centro degli interventi dei critici Stefano Chiodi e Andrea Cortellessa e dello storico Umberto Gentiloni, alla presenza dell’autore. Sui notiziari quotidiani UCEI sono apparse nelle scorse settimane alcune analisi dell’opera e sul numero di Pagine Ebraiche attualmente in distribuzione compaiono le recensioni di Alberto Cavaglion e Claudio Vercelli.
“Mi piacerebbe parlare anzitutto del libro di Belpoliti come oggetto fisico – ha introdotto Chiodi – è un volume di grandi dimensioni, presenta un titolo suggestivo che richiama le foto segnaletiche e in copertina ha una foto di Levi che mostra una maschera in filo di rame a forma di gufo. Belpoliti non nasconde la struttura che sostiene la sua opera ma anzi la ostenta, come l’architettura del Centre Pompidou a Parigi. Ci sono tanti aspetti peculiari dei quali ci si accorge sfogliando le pagine: i caratteri grafici cambiano, la titolazione è in stile settecentesco. Primo Levi. Di fronte e di profilo non è un saggio tradizionale, ma piuttosto, come hanno già detto i recensori che mi hanno preceduto, un’enciclopedia o un dizionario da consultare. Non ambisce a esaurire il tema ma apre finestre molto interessanti: penso per esempio al saggio sugli animali o a quello dedicato alla zona grigia”.
Il lungo percorso di Primo Levi come scrittore viene raccontato da Andrea Cortellessa, docente all’Università di Roma Tre: “Molti sapranno – spiega – che inizialmente Se questo è un uomo fu rifiutato da Einaudi, poi diventato storico editore di Levi, e venne pubblicato dalla De Silva, diretta dal saggista e antifascista Franco Antonicelli. Egli fu infatti il primo a rendersi conto del valore letterario di Levi, in un periodo in cui l’Italia non era ancora pronta a riscoprire la Memoria. Quando verrà poi pubblicato da Einaudi sarà lo stesso Antonicelli a recensire nuovamente il libro specificando come ci si trovasse di fronte a un capolavoro letterario”.
“C’è un elemento che va fortemente evidenziato – prosegue Cortellessa – ed è il fatto che per quanto Levi sia un autore indubbiamente chiaro, non è affatto semplice. La sua lingua ha doppi fondi, doppi legami. Ha la vocazione alla chiarezza perché l’oscurità lo segue sempre, ma è allusivo, frammentario, ambivalente. Richiama alla memoria la scrittura di Vladimir Nabokov”. Il problema dell’identità è centrale per Levi, sottolinea il critico: “Si definisce italiano ma ebreo, chimico ma scrittore, deportato ma non disposto al lamento e alla querela”.
“Primo Levi – conclude – è scrittore perché testimone e testimone perché scrittore. Impossibile provare a fondere le due cose, come anche scegliere un unico punto di vista”.
A dare una lettura storiografica del lavoro di Belpoliti è poi Umberto Gentiloni, autore di Bombardare Auschwitz (Mondadori): “Primo Levi. Di fronte e di profilo, è un’opera importante che permette di entrare nei tanti mondi dell’autore. La sua struttura complessa con lemmi, saggi, approfondimenti, permette di entrare in due officine al tempo stesso: la prima è, ovviamente, quella di Levi, la seconda quella di Marco Belpoliti. L’interrogativo di fondo è quello che ci attanaglia da decenni: è utile e necessario liberare Levi da Auschwitz per capirlo fino in fondo? Bisogna esulare il suo ruolo di testimone per cogliere tutto il resto?”.
Dal punto di vista storico, aggiunge: “La Shoah raccontata da Levi è quella di un testimone che non è mai entrato a Birkenau dove la stragrande maggioranza delle persone venivano eliminate, è quella di colui che si è salvato e sa di non poter raccontare la storia dei sommersi ma allo stesso modo riesce a fare qualcosa di unico: pone interrogativi sull’uomo, che vanno al di là del singolo caso e tentano di indagare sull’umanità. Il monito di Levi è universale e attualizzabile e leggere la sua opera fa impressione proprio perché assai vicina a noi e al nostro presente”.
La più grande battaglia di Levi, conclude Gentiloni: “È evitare che la Memoria venga banalizzata, monumentalizzata e che di conseguenza faccia allontanare la gente. Levi è riuscito ad essere la voce di tutti anche se lui stesso presuppone che ci siano altri racconti accanto ai suoi”.
“Primo Levi – interviene Belpoliti – è l’unico autore che può mettere in discussione il tema della Memoria. Egli critica i luoghi comuni, le incrostazioni. Sembra curioso che un timido dottorino come lui sia riuscito ad affrontare le questioni fondamentali che ci attanagliano oggi. Credo che come autore venga continuamente frainteso: in America dove è tanto amato, secondo me non viene letto nel modo giusto, perché per una giusta lettura bisogna necessariamente calarlo nella realtà italiana nella quale si ritrovava”. Non accettava di essere incasellato. “Una volta ha detto – ricorda Belpoliti – ‘io vittima sono stato ma vittima non voglio rimanere’. Levi voleva studiare l’umanità: il suo libro si chiama Se questo è un uomo, non ‘Se questo è un ebreo’. Mette continuamente in discussione chiunque gli affibbi un ruolo”.
“Quando ho iniziato a studiare Primo Levi – spiega – ho cercato di togliergli la veste del testimone. Anni dopo, l’obiettivo è ricalarlo in questa veste che tuttavia è imprescindibile da lui. C’è però un terzo Levi da scoprire, ed è il Levi-uomo che probabilmente verrà alla luce tra qualche decennio con la possibile pubblicazione delle sue lettere. La storica Anna Foa mi ha raccontato che suo padre Vittorio in un libro ha definito Primo Levi e sua sorella Annamaria ‘due angeli caduti che non si sa da che parte andranno’: proprio questo è il mistero che ancora avviluppa lo scrittore torinese”.
“All’indomani della morte, – conclude Cortellessa – scrisse Pietro Chiodi di Beppe Fenoglio che ‘forse per vivere bisogna dimenticare, ma certamente per capire bisogna ricordare’. Parafrasando questa frase possiamo dire che Levi ha sacrificato un poco della sua esistenza per ricordare e dunque capire”.

r.s. @rsilveramoked

(11 novembre 2015)