valori…

Quando si accorge della lotta fra i due figli ancora nel suo ventre, quando vede che – come dicono i Maestri – Esaù cercava di uscire quando passava davanti ad un luogo di culto pagano, Rivkà va a chiedere il responso divino “nella tenda di Shem e di ‘Éver”, ossia dove si studiava e si approfondiva, secondo il Midràsh, la conoscenza di D.o.
Qualche Maestro si è domandato perché Rivkà non si sia rivolta a chi, in famiglia, era il campione della conoscenza di D.o, ossia Avrahàm. La risposta è tale da farci riflettere. Per Avrahàm, che si era dato tanto da fare per trovare una moglie degna di suo figlio, lontana dalle tentazioni e dalle usanze dei cananei idolatri; venire a sapere che un suo nipote avrebbe lottato per seguire l’idolatria, nonostante i suoi sforzi, sarebbe stata per un’enorme delusione. Per questo motivo Rivkà aveva deciso di rivolgersi all’esterno.
Al di là della finezza della nuora nei confronti del suocero, c’è qui una constatazione di gravissima portata: a volte tutto ciò che possiamo fare per evitare la perdita di valori ebraici, di identità ebraica, nei nostri figli può non essere sufficiente, e nessuno può ritenersi al sicuro, nessuno può dirsi certo che i suoi discendenti non si allontaneranno mai. Due figli gemelli, con gli stessi genitori, con lo stesso tipo di educazione familiare o scolastica, cresciuti con gli stessi valori, possono assumere comportamenti assolutamente difformi di fronte alla tradizione.
Questo ci dice che non possiamo mai ritenerci al sicuro, non possiamo mai abbassare la guardia: dobbiamo difendere e diffondere la tradizione ed i suoi valori con impegno sempre crescente, se vogliamo sperare – ahinoi, solo sperare! – di poter mantenere in vita l’Ebraismo.

Elia Richetti, rabbino

(12 novembre 2015)