Bataclan, quelle minacce ignorate
“Se il Bataclan e il Migdal organizzeranno, come gli scorsi anni, un galà per il Magav, la polizia di frontiera dell’esercito israeliano, la gente non lo potrà più sopportare, e pagherete le conseguenze delle vostre azioni”. Sono parole di un gruppo di militanti pro-palestinesi, una decina di giovani dal volto nascosto con la kefiah – che però il loro portavoce ha avuto la cura di usare in aggiunta a un passamontagna nero – ripresi in un video di neppure cinque minuti quando, il 20 dicembre 2008, erano andati a cercare di parlare con “qualcuno dell’amministrazione” del Bataclan, il tempio del rock dove ha avuto luogo il peggiore fra gli attentati che hanno colpito Parigi. Un clima di pesante intimidazione, un’azione di minaccia nei confronti di un locale da tempo tenuto d’occhio, secondo le parole raccolte nel video girato sapientemente dagli stessi organizzatori dell’azione, perché ospita ogni anno a gennaio una raccolta fondi per sostenere il Magav, il corpo dell’esercito israeliano che ha come compito principale il controllo delle frontiere. Non l’unico tentativo di intimidazione subito dal locale, che già nel 2007 e nel 2008 era stato minacciato proprio perché aveva ospitato diverse conferenze e galà di organizzazioni ebraiche. Già nel 2007, in particolare, le minacce erano state pesanti, e dovute proprio alla serata organizzata dal Magav a cui, si sente spiegare nel video, i proprietari darebbero gratuitamente l’uso della sala. E uno dei collaboratori dei movimenti estremisti islamici sentiti dalla polizia avrebbe dichiarato durante un interrogatorio che un eventuale attacco contro il Bataclan era giustificato, perché “i proprietari sono degli ebrei”.
È calma la voce dell’unico giovane che parla nel video dell’azione intimidatoria del 2008, e sostiene che da anni i giovani di diversi quartieri della regione parigina “che sostengono il popolo palestinese” non possono più sopportare “la provocazione” che ha luogo ogni anno al Bataclan. Un messaggio pesante, rivolto innanzitutto ai proprietari del locale: “Pagherete le conseguenze delle vostre azioni” dichiarano alla fine del video, quando compare anche una scritta che invita a tenere d’occhio il sito “sionista e islamofobo” del Migdal, perché “I palestinesi contano su di noi”.
“Sappiate che nei quartieri, in questo momento, qualcosa si muove, qualcosa sta crescendo. Siamo venuti a far passare un piccolo messaggio, chiaro e fermo, e la prossima volta non verremo per parlare.”
Non sono così evidenti, però, i collegamenti fra il Bataclan e Israele, neppure secondo il francese Nicolas Shashani, un noto attivista pro-palestinese, che ha spiegato che il locale per i parigini è semplicemente una sala da concerti. In teoria un collegamento potrebbe esserci con la band che vi stava suonando quando è iniziata l’azione terroristica, gli Eagles of Death Metal, che si era esibita a luglio in Israele. Durante il concerto, a Tel Aviv, il cantante aveva raccontato come Roger Waters avesse chiesto loro di rinunciare al viaggio e sostenere il boicottaggio contro Israele, ottenendo in risposta solo una parolaccia, perché, aveva continuato Jesse Hughes, “Non boicotterei mai un posto come questo”. La Ligue de Défence Juive – la stessa organizzazione che nelle parole del video minatorio del 2008 viene identificata come uno dei gruppi che si occupano della sicurezza del Bataclan durante gli eventi organizzati dal Migdal – ha dichiarato invece che “I gruppi pro-palestinesi identificano il Bataclan come una sala da concerti ‘sionista’, e ora vediamo il risultato”.
È invece del 18 settembre di quest’anno la notizia, pubblicata dal quotidiano francese Le Parisien, che un ex-jihadista appena rientrato dalla Siria stava progettando un attentato contro una o forse contro diverse sale da concerto, in Francia. In Siria aveva ricevuto istruzioni chiare: l’attacco a una sala da concerto avrebbe permesso di fare “un numero massimo di vittime”, data la sua caratteristica di luogo molto frequentato. Arrestato l’11 agosto, il trentenne non era ancora riuscito a procurarsi le armi necessarie, ma durante la detenzione ha alla fine ammesso di aver passato una settimana a Raqqa, nel nord del paese, feudo di un gruppo islamico, dove è stato istruito ad organizzare un attentato contro un luogo “ideale”, una sala da concerto, appunto. In Francia, ma anche in alcuni ben determinati paesi europei. Istruzioni chiare, che comprendevano il percorso da fare per rientrare in Francia, passando per Istanbul, Praga e Amsterdam fino a raggiungere Parigi, dove probabilmente è tornato per curare una ferita rimediata durante l’addestramento. Dopo il suo arresto è stata fermata in Polonia un’altra persona sospetta, con cui sarebbe rientrato in Europa: un doppio arresto che, scriveva il giornale in settembre, avrebbe evitato alla Francia di essere vittima di una nuova azione violenta a neppure otto mesi dall’attacco contro il giornale satirico Charlie Hebdo e poche settimane dopo l’attacco sventato sul treno ad alta velocità che collega Amsterdam a Parigi. Un’altra azione che avrebbe potuto avere un bilancio estremamente pesante. E non si tratta dei soli arresti che – sempre secondo le autorità francesi – avrebbero permesso di sventare nei mesi scorsi diverse azioni terroristiche compiute da combattenti dell’organizzazione dello stato islamico rientrati in Francia, una delle maggiori preoccupazioni dei servizi francesi, che tenevano la situazione sotto controllo. Ma, evidentemente, non è bastato.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(14 novembre 2015)