Oltremare – Tornare a casa
La fretta di ritornare in Israele, la solita fretta di ogni viaggio, questa volta prende un senso tutto nuovo.
All’inizio di un lungo fine settimana milanese, venerdì mattina alle otto in punto, mentre guardavo un po’ stranita al tg un giornalista davanti al ristorante Carmel, pensavo che a Tel Aviv ci si sente molto più sicuri. Ed è una considerazione a due facce: più sicuri come cittadini e più sicuri come ebrei. Casa nostra, Israele: anche con intifade, guerre e assurdità varie, è comunque casa.
Ovviamente nulla mi avrebbe preparata alle notizie di venerdì sera, ricevute con troppi filtri solo sabato mattina al tempio.
Al posto dell’usuale immersione totale nelle notizie, trovarsi in un altrove linguistico e giornalistico.
Al posto della ormai inevitabile sovraesposizione alla rassegna stampa personalizzata sui social media, sguardi brevi a Facebook e ben poco desiderio di contribuire al rumore collettivo, alle dichiarazioni assolutiste o di stomaco.
Al di sopra di ogni altro sentimento, la sensazione di deja-vu, di un altro atto di terrore senza precedenti che cambia, pur se in modo impercettibile, la Storia.
E l’urgenza di essere a casa, dall’altro lato del mare, in quel luogo in cui nella più assoluta libertà e sicurezza, come cittadina e come ebrea, posso dire: l’Europa ha forti responsabilità in una gestione superficiale del terrorismo islamico.
Che siano rigurgiti post-colonialistici o ignoranza frutto paradossale della globalizzazione, a quasi 15 anni dall’11 settembre, anche gli europei hanno il diritto di sentirsi sicuri, o almeno consapevoli dei rischi quotidiani della loro esistenza, come noi.
Daniela Fubini, Tel Aviv twitter @d_fubini
(16 novembre 2015)