Il campo musulmano
Così scrivevo, su queste colonne, il 13 gennaio 2015, all’indomani degli attentati di Parigi. Dopo la tragedia di venerdì; dopo mesi in cui si è aggravata la crisi in Siria e ingrossato il flusso dei profughi; nelle ore in cui sul web vengono linciati esponenti musulmani per il solo fatto di esserlo, mi pare che queste parole siano ancora attuali, anche se rileggendole cambierei alcuni accenti. Spero che i lettori mi scusino per l’autocitazione:
“Oggi la palla è nel campo musulmano. (…) È la umma a dover reagire. Una comunità vasta e in maggioranza tollerante, che però deve recidere il cordone ombelicale con i ‘fratelli che sbagliano’. Intendiamoci. L’Occidente ha molto da fare, ma sono obiettivi di facile elencazione: coordinamento sulla prevenzione e sulla sicurezza; investimenti per l’integrazione; tutela dei diritti e delle libertà fondamentali; indirizzi chiari sui propri valori democratici, come abbiamo ammirato domenica a Parigi. Senza cadere nella trappola dello scontro tra civiltà. Rispetto alle Torri Gemelle la prospettiva mi pare differente. Nel 2001 l’attacco fu condotto da terroristi venuti da lontano e imponeva al mondo libero una risposta visibile. Che fu sbagliata, certo, ma che non poteva latitare. Gli attentati terribili di questi giorni sono perpetrati dalle seconde o terze generazioni, da francesi, da europei. Da schegge impazzite eppure integrate, come i cosiddetti foreign fighters. Dunque, se è giusto chiedere ai governi democratici di non discriminare i musulmani in quanto tali e non generalizzare, occorre sottolineare che quanto accaduto è un problema della comunità islamica. Di quella europea, stanziale, anche di quella secolarizzata. È il momento per i musulmani coraggiosi e credibili di fare il primo passo. Senza subire esami del Dna, ma senza sconti. Dicano con chiarezza quali sono le regole di convivenza civile in grado di tutelare i loro diritti e al tempo stesso garantire la sicurezza delle nostre società. Concentriamoci sull’Italia. Si vogliono costruire delle moschee? È un diritto rispettabile. Ma come le si rende case di vetro e non focolai di odio e violenza? Come si formano gli imam, vincolandoli al sistema dei valori democratici? Come si controllano i flussi di denaro dall’estero, evitando pericolosi condizionamenti esterni? Come si garantisce una rappresentatività vera ai leader della comunità islamica? Sono questioni complesse, e la mossa spetta ai dirigenti musulmani. Quelli coraggiosi, con cui magari si dovrà dissentire. Ma che sono gli unici a poter svolgere una mediazione oltre la quale c’è solo il buio”.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(17 novembre 2015)