pozzo…

Isacco riapre i pozzi, scavati da suo padre, ostruiti dai Filistei e li rinomina secondo la volontà di Abramo (Bereshìt, 26; 15-18).
Nello sforzo che Isacco compie per ritrovare l’acqua viva al di sotto degli strati di terra e di sabbia si realizza quel progetto intergenerazionale in cui ci si impegna per scavare non solo per se stessi, ma per dare agli altri e non solo per ottenere.
I Filistei per questo lo invidiano otturando i pozzi, anteponendo il desiderio di cancellare ogni traccia della presenza storica di Isacco in quei luoghi al beneficio che queste stesse risorse economiche rappresentano per tutti gli abitanti del posto.
Perfino il leader dei Filistei, Avimelech, che solo poco prima aveva minacciato la condanna a morte per chiunque avesse fatto del male a Isacco (Bereshìt, 26; 11) cambia improvvisamente tono dicendo al nostro patriarca: “…vattene via da noi perché sei diventato troppo potente…” (Bereshìt, 26; 16).
Eppure Isacco non si scoraggia ma continua a scavare nella sabbia. ll lavoro di Isacco il nostro lavoro, consiste dunque nello scavare pozzi di Torah che i nostri predecessori hanno aperto e che i Filistei di ogni secolo tentano di otturare e cancellare per sempre.
Contro le difficoltà e contro il tempo stesso, che può facilmente essere simboleggiato dalla sabbia, la polvere dell’abbandono e della dimenticanza.
Chi di noi almeno una volta sulla spiaggia non ha sperimentato la difficoltà di produrre una buca? Mentre scaviamo, la sabbia si riversa dentro al nostro lavoro, tentando di vanificarlo e riuscendo comunque a renderlo tutt’altro che semplice.
Seppure la polvere tenti di vanificare il nostro impegno, dobbiamo essere pronti a ricominciare, ancora e ancora.

Roberto Della Rocca, rabbino

(17 novembre 2015)