Urbisaglia, la Memoria che torna
“Un gesto doveroso verso chi, per la semplice appartenenza al popolo ebraico, ha visto calpestata la propria dignità e ha dovuto subire innumerevoli sofferenze e umiliazioni”. Questa la motivazione con cui il Comune di Urbisaglia (Macerata) ha concesso la cittadinanza onoraria del paese marchigiano a Giuseppe Viterbo, figlio del grande giornalista, avvocato e linguista Carlo Alberto Viterbo (1889-1974), che proprio ad Urbisaglia fu internato dopo l’arresto e la detenzione a Regina Coeli e da dove intrattenne un fitto epistolario con la moglie e il figlio (allora 13enne). Epistolario che proprio il figlio ha da poco fatto pubblicare, con la casa editrice Aska, sotto il titolo de “Il giorno di ritorno che verrà”.
A conferire il riconoscimento il sindaco Paolo Giubileo, che a Pagine Ebraiche dice: “Dopo una prima presentazione del volume a Firenze, ci eravamo ripromessi di ospitarne una seconda ad Urbisaglia e di dare un ulteriore significato a questo momento. Siamo infatti convinti, e ritengo di parlare a nome di tutte le istituzioni territoriali, dell’importanza di tener viva la Memoria. Soprattutto quando ci riguarda così da vicino”. Ad intervenire, tra gli altri, anche il presidente della Comunità ebraica anconetana Manfredo Coen e l’educatrice (e presidente dell’ampi Urbisaglia) Giovanna Salvucci.
Molte le suggestioni e le emozioni suscitate in queste ore, anche nel corso di un successivo incontro con gli alunni del locale istituto scolastico svoltosi nella mattinata di giovedì.
“Nelle ore grigie e oscure di Auschwitz abbiamo sempre visto davanti a noi, come un miraggio, il luminoso giardino dell’abbadia di Fiastra in Italia, paese del sole e di buona gente” è la frase attribuita all’ex internato Paul Pollak, apposta dal 1993 all’esterno del convento in cui furono fatti convogliare i prigionieri. Sempre Pollak, in un passaggio riportato nel libro, dice: “È indicativo e caratteristico il fatto che molti, che fino ad allora avevano assunto, nei confronti della religione, un atteggiamento indifferente o addirittura ostile, subirono nel campo un processo di catarsi, e che, su varie ricorrenze religiose, la partecipazione degli internati era completa. Anche qui l’avvocato Carlo Alberto Viterbo era il ‘padre spirituale’, riunendo nella sua persona le cariche di chazan e di capo spirituale. A lui si deve se, ogni venerdì sera ed ogni ricorrenza, sono divenute anche, intimamente ed esteriormente, delle vere festività.”
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(19 novembre 2015)