La rassegna settimanale di melamed
Scuola, il luogo del confronto
Melamed è una sezione specifica della rassegna stampa del portale dell’ebraismo italiano che da più di tre anni è dedicata a questioni relative a educazione e insegnamento. Ogni settimana una selezione della rassegna viene inviata a docenti, ai leader ebraici e a molti altri che hanno responsabilità sul fronte dell’educazione e della scuola. Da alcune settimane la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane aggiunge al lavoro di riordino e selezione settimanale un commento, per fare il punto delle questioni più trattate sui giornali italiani ed esteri. Per visualizzare la newsletter settimanale di melamed cliccare qui.
Scuola, il luogo del confronto
In questi giorni cupi la scuola torna ad essere il luogo del confronto per eccellenza, un laboratorio antropologico altrove nemmeno immaginabile. È nelle scuola che si potrà dare la risposta sociale più significativa agli attacchi terroristici ed è urgente chiedersi come sia possibile, in concreto, favorire nel sistema dell’istruzione nazionale la formazione di una nuova coscienza europea. La presenza di classi multietniche non è sufficiente e dibattiti, conferenze e minuti di silenzio sono momenti apprezzabili e certamente importanti, ma rischiano di servire a poco. Servono azioni pedagogiche adeguate, capaci di entrare nel vivo di una questione che non riguarda soltanto docenti e alunni, programmi da svolgere e titoli di studio da rilasciare, bensì – scrive Eraldo Affinati su l’Avvenire, il 17 novembre – “chiama in causa la tradizione storica del Vecchio Continente, i cui trascorsi coloniali, ammettiamolo, sembrano smorzare il vento della belle bandiere, fino al punto di gettare un’ombra lunga su qualsiasi dichiarazione ufficiale a proposito dei diritti dell’uomo e del cittadino. Dobbiamo avere la forza di affrontare anche il nostro passato per riuscire a guardare negli occhi chi abbiamo di fronte. Da tempo, nel mio piccolo, sto cercando di mettere in relazione gli studenti italiani con i giovani profughi. Vado nei licei e cerco volontari disposti a insegnare la lingua italiana agli immigrati. Trovo sempre una grande disponibilità. Un notevole entusiasmo”.
Come lo diciamo ai bambini? Pur se con qualche giorno di ritardo rispetto ai giornali francesi anche in Italia i quotidiani si sono molto occupati di come parlare ai bambini degli attentati di Parigi. Domenica scorsa era stata la newsletter Pagine Ebraiche 24 a occuparsi dell’argomento, riportando i pareri di psicologi ed educatori comparsi sui giornali francesi e inglesi, e nei giorni seguenti praticamente tutte le testate nazionali hanno raccontato le reazioni dei bambini, fra preoccupazione e rabbia, proponendo anche, tra le molte voci, quella di Liliana Segre. Intervistata dal Corriere della Sera (16 novembre) “Bisogna avere il coraggio di spiegare ai nostri ragazzi cosa è accaduto a Parigi. Dicendo la verità e senza ripararli dal dolore e dal pericolo. Perché le nuove generazioni qui in Italia sono state troppo protette e isolate dal concetto di sofferenza, che invece fa parte reale, concreta della vita di tutti noi… Una responsabilità che hanno sia i genitori che i professori”. Con la stessa semplicità e pacatezza con cui da anni racconta nelle scuole la sua esperienza di ragazzina ad Auschwitz, una dei pochissimi bambini che sono riusciti a sopravvivere, oggi riflette su quale sia il modo più adatto per raccontare ai ragazzi un lutto collettivo contemporaneo: “Io non mi sono mai trovata ad affrontare questioni contemporanee. Ho sempre raccontato la mia storia, riscontrando spesso quanto i ragazzi siano disabituati a comprendere cosa sia accaduto con la Shoah nel Novecento, e che oggi si ripropone sotto altre forme. Di fronte a simili tragedie occorre trovare la forza di andare avanti partendo prima di tutto da se stessi. E che non bisogna mai girare la faccia dall’altra parte, come capitò a noi ebrei mentre venivamo deportati. Subito dopo raccomando di non odiare mai. Perché l’odio genera altro odio. Ultima cosa. Mai generalizzare sull’Islam. Assurdo pensare che chi è fedele di quella religione è automaticamente un terrorista. Noi ebrei abbiamo vissuto sulla nostra pelle quali possano essere gli,effetti di una generalizzazione. E stata la chiave dell’antisemitismo. Perciò oggi bisogna trovare le parole giuste per spiegare, per distinguere”. È chiara, pacata, ma anche dura, soprattutto con gli adulti: “Le nuove generazioni sono completamente disabituate al dolore, al concetto stesso di tragedia. Sono tenute troppo al riparo, dai professori e dai genitori. (…) C’è un eccesso di protezione che non aiuta i giovani a capire la realtà, quindi ad affrontarla un domani. (…) E poi, trovo insopportabile questa abitudine di ‘consolare’ i giovani. (…) La vita non funziona così. Dopo i dolori non arrivano le caramelle di consolazione, come si fa con i ragazzi di oggi”. Nelle scuole, e fortunatamente non è l’unica a sostenerlo con forza, si deve spiegare che la strada non è certo chiudersi in casa e lasciare fuori il mondo.
Un compito non facile ma sicuramente necessario, di fronte alle mille domande dei bambini e alle paure di tutti, adulti compresi. Impossibile ignorare l’argomento, evitare i dubbi e le richieste di chiarimento, fra la sicurezza rinforzata, a cui gli allievi delle scuole ebraiche sono abituati, ma che non sono sicuramente la normalità per la maggioranza dei bambini, e il minuto di silenzio che ha imposto in tutte le scuole di spiegare almeno il perché di un momento collettivo di condivisione del dolore. In Francia un team ministeriale ha lavorato in tempi brevissimi per produrre documenti e linee guida, messe a disposizione degli insegnanti di tutto il paese in tempo per il rientro a scuola, lunedì scorso. E sono state preparate edizioni speciali dei giornali per bambini, dal Petit Quotidien a Le P’tit Libé, distribuite ovunque.
L’arte vietata. È il direttore di Palazzo Strozzi, Arturo Galansino, il primo a non capacitarsi della bufera scatenatasi alla notizia che in una scuola è stata vietata la visita alla mostra “Bellezza divina”, per “non offendere chi non è cattolico”. Rientrato in Italia a marzo dopo una lunga esperienza al Louvre e alla National Gallery si è dichiarato incuriosito dall’episodio, che considera “rivelatore del momento in cui viviamo”. L’arte occidentale, spiega, è indissolubilmente intrisa di tematiche sacre, e altrove sarebbesemplicemente impensabile vietare una gita con simili motivazioni. A Londra “Nei musei si spiega il messaggio cristiano a un’audience multiculturale e multireligiosa”. E intanto a Firenze, ma non solo, tutti parlano di una decisione “insensata” e “assurda”, e persino l’imam della città ha annunciato che andrà a visitare la mostra. (il Giornale, 13 novembre) E sul Corriere della Sera (13 novembre) si legge che il ministero ha deciso di mandare nella scuola responsabile della contestata decisione degli ispettori.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(22 novembre 2015)