lotta…
In merito all’identità dell’essere col quale Ya‘aqòv si trova a dover lottare, i Maestri sono praticamente unanimi: si tratta del “sarò shel ‘Esàv”, il principe, l’angelo rappresentativo di ‘Esàv. Vario e molteplice è, invece, il significato di questa identificazione. Molte sono le considerazioni che si possono fare a partire da questo assunto. Considerando che ‘Esàv, nell’ottica dei Maestri, è il prototipo di chi vive di sola materialità, possiamo considerare la lotta di Ya‘aqòv come lotta epocale tra la tendenza al bene e la tendenza al male, tendenza – quest’ultima – che è presente in ogni essere umano. Ya‘aqòv (il bene) non può esistere senza il suo gemello, cui è legato dalla nascita, ‘Esàv (il male): la lotta è quindi una lotta interiore necessaria ed inevitabile.
Ma è interessante anche analizzare la tendenza al male. Nel Talmùd (Chullìn 91) è riportata l’opinione di due diversi Maestri. Uno afferma che l’angelo apparve a Ya‘aqòv nelle vesti di un idolatra, l’altro sostiene che il sembiante era quello di un grande studioso e sapiente. In realtà esistono due tipi di “yétzer ha-rà‘” (tendenza al male). C’è quello che tenta di sedurre apertamente e direttamente spingendo alla trasgressione; noi sappiamo perfettamente quando qualcosa non si deve fare, ma spesso proprio ciò che è vietato ci sembra più appetibile, più seducente. C’è poi quello “yétzer ha-rà‘” che si traveste di sapienza, che vuole a tutti i costi dimostrare che la trasgressione è positiva, è addirittura una mitzvà. Di questa duplicità dello “yétzer ha-rà‘” parla il Talmùd in un altro brano (Berakhòth 61), dove si afferma che, secondo l’opinione di Rav, esso è come una mosca situata tra i due ricettacoli del cuore, mentre secondo l’opinione di Shemu’èl è come un chicco di grano. La mosca svolazza sempre nei luoghi più immondi, e pertanto rappresenta – come l’idolatra – l’opposizione diretta al nostro sistema di vita e di pensiero. Il grano è, invece, simbolo di intelligenza e di sapienza. I Maestri insegnano (Berakhòth 40) che si può insegnare qualcosa al figlio quando questi è in grado di mangiare derivati dal grano; inoltre, il grano è l’unico prodotto della natura che non è utilizzabile così come si trova, se non attraverso le trasformazioni che l’intelligenza umana ha saputo escogitare. È quindi simbolo di quella tendenza al male più subdola, perché si riveste di sapienza; di quella tendenza al male che ci spinge a vedere come giusto ciò che è sbagliato. La lotta con esso è più ardua; ma è necessaria, e porterà necessariamente alla benedizione.
Elia Richetti, rabbino
(26 novembre 2015)