Qui Torino – Spotlight
Il cinema israeliano sotto la Mole
C’è un po’ di Israele nel programma del Torino Film Festival che per una settimana ha invaso la città e i suoi cinema, con più di centocinquanta lungometraggi, una cinquantina di opere prime, moltissime anteprime e appassionati in coda a tutte le ore davanti alle ben dodici sale coinvolte. A partire dal più noto, “Tikkun” di Avishai Sivan, il cineasta, artista e scrittore non ancora quarantenne che ha presentato il suo primo lungometraggio nel 2010, alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes, e di cui ha scritto Daniela Gross, responsabile della rubrica J-CIak sul nostro notiziario quotidiano. Vincitore quest’anno del Jerusalem Film Festival, “Tikkun”, scrive Gross, è un “film di grande potenza poetica, che si immerge nel mondo degli ultraortodossi di Gerusalemme mettendo in scena una drammatica crisi di coscienza, che coinvolge padre e figlio in uno scontro silenzioso destinato a sfociare in tragedia.” Non è un film facile, anche per la vocazione sperimentale di Sivan, ma è molto piaciuto a Torino dove è stato selezionato per l’ottava edizione del TorinoFilmLab, il laboratorio internazionale che sostiene i progetti dei filmmaker emergenti, che arivano da tutto il mondo per alcuni giorni in cui sono numerose le attività di formazione, sviluppo, e finanziamento a produzione e distribuzione. Insieme a Tikkun – che era in concorso a Locarno – nella selezione del TorinoFilLab sono entrati Mountain, di Yaelle Kayam, già presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, e “Wednesday 04:45” di Alexis Alexiou, a Tribeca per la World Narrative Competition.
Moutain racconta la storia di una donna, ebrea, che a Gerusalemme vive con la famiglia nel cimitero ebraico, sul Monte degli ulivi. Un incontro sorprendente fatto durante una passeggiata notturna dentro l’area del cimitero – una delle poche distrazioni in una vita di poche gioie – la porta a esplorare un mondo nuovo, notturno, che le rende sempre più difficile dissimulare l’attrazione per cose che la sua fede e la sua vita le impediscono. La regista, Yaelle Kayam, che ha studiato a Melbourne e alla Sam Spiegel Film and Television School di Gerusalemme, parlando di “Mountain”, che è il suo primo lungometraggio, ha sottolineato come uno dei suoi interessi principali sia di esplorare i personaggi attraverso l’uso del paesaggio, in ambienti estremi, che obbligno a conrfrontarsi con limiti che spingono a una trasformazione”. Alla Sam Spiegel Film and Television School si è laureata anche Carmit Harash, che dopo aver lavorato come montatrice per la televisione nel 2000 ha lasciato Israele per trasferirsi in Francia, dove vive tutt’ora. Non è una novità per lei il Torino Film Festival, che ha presentato tutti i film della sua trilogia sul rapporto fra Israele e la guerra, “Film de guerre”, del 2007, “Demain”, del 2010 e il più recente “Trêve”. “Où est la guerre”, che ha iniziato a girare nel maggio del 2012 ed è in concorso anche per il “Premio per il rispetto delle minoranze e per la laicità” assegnato dal Comitato Interfedi della città è il primo di quella che la regista ha già annunciato sarà una trilogia. Nel 2012 pansare a una guerra in Francia poteva sembrare una follia, ma dopo gli attentati del gennaio si quest’anno la ricerca si è trasformata in un lavoro documentario, volto a raccontare come dietro la facciata parigina di tanti monumenti storici, dietro alle attrazioni turistiche e alle mille immagini romantiche che affollano il nostro immaginario esista una situazione esplosiva, ignorata dalla maggior parte dei francesi che preferiscono guardare altrove piuttosto che concentrarsi sui problemi della società. È, racconta la Harash, un film che “esorta i francesi a lasciarsi alle spalle le vecchie tradizioni, a guardare i concittadini che non vogliono vedere e ad accettarli finalmente come parte della società”.
Kamal Aljafari, regista palestinese che si è laureato all’Accademia di arti visive di Colonia e vive tra la Germania e il suo paese d’origine, ha già vinto numerosi premi internazionali, insegnato a cinema a New York ed è stato responsabile del dipartimento di regia della Deutche und Fernsehakademie di Berlino. A Torino è presente con Recollection, che racconta Giaffa attraverso i film israeliani e americani che hanno immortalato la città tra gli anni Sessanta e Novanta. Con un montaggio sapiente ha rimosso tutti i protagonisti delle riprese originali, e racconta la storia di un luogo che non esiste più, grazie ai passnti, e alle comparse. “Ho passato parecchi anni a collezionare film di finzione israeliani e americani girati a Giaffa, quelli che spesso appartengono al cosiddetto filone dei Burekas Films’ che raccontano il difficile rapporto tra ashkenazi e mizrahi nei primi anni di vita di Israele e che hanno scelto la città come uno dei set più utilizzati. Oltre a contribuire a plasmare l’immaginario, non solo israeliano, ma anche americano”.
E c’è un poco di Israele anche in “Hong Kong Trilogy: Preschooled, Preoccupied, Preposterous”, del grande direttore della fotografia Christopher Doyle, che celebra la città e la sua gente in un film fra finzione e documentario che racconta la storia di tre generazioni: Christopher Doyle, infatti, dopo aver lasciato il suo paese natale, l’Australia, ha vissuto in un kibbutz in Israele, prima di essere medico in Thailandia e agricoltore in India, per poi rinascere alla fine degli anni Settanta come Du Ke Feng e dirigere decine di film in cinese, mentre il suo alter ego Christopher Doyle girava film in altri posti e culture, lavorando anche come direttore per la fotografia con registi del calibro di Wong Kar Wai, Jim Jarmush, Chen Kaige, Pen-Ek Ratanaruang e Zhang Yimou. Una storia da film.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(Nell’immagine una scena di Recollection, pellicola che racconta Giaffa attraverso i film israeliani e americani che hanno immortalato la città tra gli anni Sessanta e Novanta)
(27 novembre 2015)