… rispetto
Un presepe negato in una scuola ed è subito notte. Notte della ragione. Gli integralisti della logica si risvegliano, spengono il cervello, mettono in movimento le interiora e la passionalità più bassa impazza sui media. E vada pure per la stampa cattolica. Ma ci si mettono soprattutto certi conservatori che di cristiano non hanno nulla se non, forse, un lontano certificato di battesimo, preoccupati più dall’imminente invasione islamista che dai loro principi laici, messi da tempo nel cassetto. Povero, antico liberalismo! E ci si mette, terribile dictu, anche la sinistra luminescente, cui di sinistra ormai è rimasto ben poco.
Il ragionamento è semplice, ed è tanto più condiviso dai cultori del pensiero indolente quanto più è semplificato. Si tratta – si dice – di salvaguardare la tradizione culturale della civiltà italiana, ossia quella cristiana. Qualcuno rispolvera Pontida e Lepanto; ne va della sacralità del nostro suolo. Così per invocare il giusto diritto all’identità si propone di affermare il valore del vino e del maiale. Se questa è l’identità, caro Michele Serra (Repubblica del 30 novembre), il paese è ridotto davvero male. Qualche argomentazione più sensata ci si potrebbe anche sforzare di concepirla. Peccato che a pochi, o a nessuno, passi per la mente che per conciliare la salvaguardia della propria civiltà con il rispetto degli altri si debba passare attraverso la cultura e non attraverso la prevaricazione. Perché prevaricazione dei diritti altrui in spregio alla laicità dello stato è stata la politica della scuola italiana fino a oggi, con l’imposizione, pagata cara in tutti i sensi, dell’insegnamento della religione cattolica come fosse ‘religione di stato’, con l’affissione del crocifisso che ti osserva dolente e dall’alto ti protegge. E passi per la scuola, luogo di ‘educazione’ e formazione, ma, scandalo inaudito e mai riconosciuto, anche nei tribunali e in mille uffici pubblici.
È lecito chiedersi allora in quale paese si viva, a quale paese si appartenga. Se questo paese riconosca la mia cittadinanza alla pari della cittadinanza di un qualsiasi cattolico. Non sono un islamico, sono un ebreo, e non ho mai ‘invaso’ questo paese, e, se mai l’ho fatto cinquecento anni fa, il paese ne ha saputo trarre la sua convenienza. Ne ho però subito ghettizzazione e fascismo genocida, e sono rimasto, malgrado tutto, a svolgere il mio ruolo di cittadino fra gli altri. Eppure nessuno ha mai pensato, facendo spiccare solo un piccolissimo volo alla fantasia e alla ragione, che salvaguardare l’identità della nazione significhi anche tutelare la mia identità di ebreo, confusa e soffocata dall’identità di una maggioranza strabordante, che si sente uniformemente cattolica e praticante solo nel momento in cui si tratta di far guerra ideologica all’altro, all’invasore. Un’identità maggioritaria che rispetto, che ho sempre rispettato, ma che non si è mai preoccupata di rispettare me, quando mi ‘consentiva’ liberalmente di uscire dalla classe per attendere, solo e mortificato, che finisse l’ora del professore-prete. E non ha rispettato certo i miei figli quando li invitava benevolmente a stare a casa durante i giorni di Natale, quando la classe diventava una chiesetta con albero o presepe e canzoncine e lavori in classe sul tema della natività.
Ma se rispettare la civiltà e la tradizione del luogo significa rispettare l’identità della maggioranza soltanto, allora è già tempo di apporre un simbolo islamico alle pareti di molte classi del nostro paese. E immagino che qualcuno, all’idea, possa rabbrividire, e non di freddo. Ma l’imposizione di un simbolo (crocifisso, presepe, o albero) non corrisponde all’identità – sempre affermata e mai verificata da nessuno – della maggioranza di un paese o di una classe. Significa invece affermazione di dominio culturale su un luogo, e somiglia al tanto famigerato ‘ius sanguinis’. Chi non è nato con quel sangue non appartiene. E non è riconosciuto. A questo punto ha ragione Salvini, perché o li cacciamo tutti subito oppure dovremo modificare mentalità e cercare di immaginare una qualche modalità di sopravvivenza e di convivenza nel reciproco rispetto. E questo sì, il reciproco rispetto, sarà bene imporlo per legge. Magari affiggendo, accanto al crocifisso, anche la luna con la stella. E magari una stella di Davide, piccola piccola e nascosta da un fazzolettino bianco, perché qualcuno non pensi sia, anche solo lontanamente, simbolica di Israele. O decidendo, invece, di non affiggere più simboli di sorta, e smettere così di appropriarsi ideologicamente della scuola e dei tribunali e degli uffici comunali.
Caro Michele Serra, il rispetto dei valori, se sono valori di sana e condivisa umanità, lo si ottiene dagli altri quando anche noi siamo disposti a riconoscere i loro. E la cultura non è catechismo, tutt’al più è storia, è insegnamento delle diversità e di quella tolleranza di cui tanto si parla senza preoccuparsi di praticarla. Se si vuole convertire allo spirito di civiltà bisogna essere certi di possederlo quello spirito. Il crocifisso e il presepe siano fatti privati e interiori, come lo è per me l’idea di Dio che non riesco a concepire affissa a una parete. Se ce l’ho, ce l’ho dentro, non emargina nessuno, e da lì nessuno me la può strappare. Forse una visione un po’ meno materialistica, un po’ meno ‘vino e salame’, del simbolo e del suo valore potrebbe aiutarci a vedere la luce. Nessuno spossesserà mai le chiese cristiane. Né, si spera, le sinagoghe. Le moschee faticano ancora a sorgere. Preoccupiamoci di seminare cultura e rispetto reciproco, anziché catechizzare, o sarà presto una nuova prevaricazione. La loro, questa volta.
Dario Calimani, anglista
(1 dicembre 2015)