Dai pogrom agli Stati Uniti
Ecco come nacque Barbie

Reese-Witherspoon-Legally-Blonde-2-Screencaps-reese-witherspoon-21735425-852-480 Tutto ebbe inizio con un costumino a righe bianche e nere, un paio di occhiali da sole da gatta, una frangia riccioluta e abbondanti dosi di eye liner. Insomma seguiva la moda del suo tempo la prima Barbie, creata nel 1959. A ideare la bambola che può fare tutto purché indossi qualche accessorio fucsia è stata Ruth Handler, che viveva a Denver, dove la sua famiglia arrivò scappando dai pogrom antiebraici in Polonia. La sua storia è stata raccontata nel libro di Robin Gerber “Barbie and Ruth: The Story of the World’s Most Famous Doll and the Woman Who Created Her” (Barbie e Ruth: la storia della bambola più famosa del mondo e della donna che l’ha creata), di cui Reese Witherspoon (nell’immagine) ha annunciato di aver comprato i diritti per portarla sul grande schermo. L’attrice statunitense è infatti anche proprietaria, insieme alla partner Bruna Papandrea, della casa di produzione cinematografica Pacific Standards, ma si mormora che oltre che produttrice sarà lei a interpretare nel film anche il ruolo di Ruth.
Certo quelle sull’attrice protagonista sono ancora solo le prime voci e non sono ancora pervenute né conferme né smentite, e ancora non si sa chi potrebbe dirigere la pellicola. Di noto c’è invece che con Pacific Standards Reese afferma di impegnarsi a proporre film che portino sul grande schermo figure di donne forti e complesse, come la Cheryl che fa un viaggio per ritrovare se stessa attraverso gli Stati Uniti in “Wild”, o la Amy in fuga di “Gone Girl”, i due ultimi film che sono arrivati sul red carpet degli Oscar grazie alle interpretazioni delle protagoniste (la stessa Witherspoon e Rosamund Pike). E insomma, nessuno se la dimentica nei panni di Elle, mentre in “Una bionda in carriera” entra in un’aula di tribunale con il suo tailleur con cappellino abbinato in tinta niente meno che rosa Barbie.
Per tornare a lei dunque, o meglio alla sua inventrice, si deve fare un salto indietro all’alba degli anni ’60, quando la figlia di Ruth giocava con bambole di carta, che si divertiva a vestire con eleganti abitini dai colori sgargianti ma soprattutto a cui amava dare ruoli da adulte. Così Ruth tirò fuori tutto il suo spirito imprenditoriale e pensò che potesse essere una buona idea creare una bambola diversa da tutte quelle in commercio, con fattezze generalmente di paffute bambinette. Immediatamente propose il progetto al marito Elliot, proprietario della Mattel il quale acconsentì, ma senza troppo entusisamo. Dalla rielaborazione in chiave più glitterata della Bild Lilli, una bambola simile prodotta in Germania, nacque così una giovane spilungona e formosa fashion victim, che Handler chiamò Barbara, come sua figlia.
Nel suo primo anno di vita furono venduti 350.000 esemplari, e alla fine fu proprio la Mattel ad accrescerne il mito, creando una biografia, una famiglia con tanto di animali domestici, un fidanzato, e mettendola a svolgere qualsiasi tipo di attività o mansione e aumentando il numero di versioni con vari colori di occhi, capelli e carnagione. Inutile negarlo, Barbie è stata tanto amata quanto criticata, per il suo fisico sinuoso e i suoi cliché troppo rosa che hanno fatto storcere il naso a femministe ed educatori. Oggi però vive un momento di grande gloria. Oltre al film su Ruth Handler, negli Stati Uniti è infatti in preparazione un’altra pellicola scritta da Diablo Cody (premio Oscar per Juno), in cui la protagonista è una Barbie in carne e ossa e la cui uscita è prevista per il 2017, mentre a Milano è in corso una mostra al Museo delle Culture interamente dedicata alla mitica bambola. La rivincita delle bionde, la chiamerebbe Reese.

Francesca Matalon twitter @fmatalonmoked

(2 dicembre 2015)