Nel solco di Angelo Roncalli
Un polacco, un tedesco, un argentino. Dei tre papi che hanno visitato il Tempio Maggiore di Roma – l’ultimo, Francesco, lo farà il 17 gennaio prossimo – nessuno è un italiano. Ma forse è un caso. Già, perché verso l’ebraismo c’è stato un pontefice romano che forse più degli altri ha impresso la spinta decisiva per un cambio radicale. Fu infatti Giovanni XXIII, papa Roncalli, a indire il Concilio Vaticano II da cui uscì il documento Nostra Aetate, che ha rivoluzionato le relazioni della Chiesa cattolica con gli ebrei – ma anche con tutte le altre grandi religioni del mondo – codificando dopo secoli di persecuzioni e discriminazioni un nuovo rispetto per la fede ebraica nel cattolicesimo. Un documento storico, quindi – del quale si è festeggiato da poco il cinquantenario – ma il segnale che erano in atto forti cambiamenti era arrivato addirittura sei anni prima della fine del Concilio: era un sabato del 1959 e Giovanni XXIII fece fermare il corteo pontificio sul Lungotevere de’ Cenci per benedire gli ebrei che uscivano dal Tempio Maggiore.
“Fu un gesto che gli valse l’entusiasmo di tutti i presenti che circondarono la sua vettura per applaudirlo e salutarlo. Era la prima volta che un papa benediceva gli ebrei” scrisse nelle sue memorie il compianto Elio Toaff, rabbino capo di Roma per un cinquantennio. E fu lui ad accogliere, il 13 aprile 1986, Giovanni Paolo II, primo pontefice nella storia ad entrare in un tempio ebraico. Un caloroso abbraccio segnò la fine dell’incontro, passaggio decisivo del pontificato.
Là, nell’antico Ghetto dove per secoli i papi avevano rinchiuso il popolo ebraico insediatosi a Roma ben prima della nascita della Chiesa, il polacco Wojtyla pronunciò la storica frase sui “fratelli maggiori”. Da allora tanto è accaduto: il riconoscimento reciproco tra Santa Sede e lo Stato di Israele, i viaggi papali a Gerusalemme con le preghiere al Muro Occidentale, le visite nelle sinagoghe, come fece Ratzinger nel 2005 a Colonia, da poco eletto e nel suo primo viaggio fuori Italia. Cinque anni dopo, nel 2010, e sempre il 17 gennaio, sarà accolto al Tempio Maggiore. E infine Francesco, che ha alle spalle una stretta vicinanza con l’ebraismo in Argentina, dove per anni da cardinale aveva partecipato alle cerimonie principali in sinagoga, oltre che aver dato sostegno alla comunità di Buenos Aires colpita in occasione dell’attacco del 1994 al Centro Ebraico. Un percorso, questo in atto, accompagnato anche dalla Chiesa italiana, sia nelle città che al centro: proprio il giorno dell’annuncio della visita il presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco ha incontrato il vertice dell’assemblea dei Rabbini d’Italia, ed è stata concordata l’istituzio- ne di un tavolo permanente di dialogo ebraico-cristiano.
Quattro papi e il Tempio Maggiore: quattro modi diversi di essere guida della cristianità, ma con il denominatore comune non solo di rispetto per i “fratelli” – talvolta con qualche granello di incomprensione sui temi strettamente biblici – ma di consapevolezza del reciproco legame “romano”, che va oltre (e precede) i rapporti tra Israele e Stato Vaticano. Francesco la prossima estate sarà alla giornata mondiale dei giovani a Cracovia ed è ormai certo che farà visita al campo di sterminio nazista di Auschwitz, dove il tedesco Ratzinger nel 2006 pronunciò, in italiano e con voce commossa: “Signore, perché hai taciuto?”.
Carlo Marroni, vaticanista – Pagine Ebraiche dicembre 2015
(2 dicembre 2015)