Ticketless – Mario Lattes
La pubblicazione della tesi di laurea di Mario Lattes (“Il ghetto di Varsavia”, a c. di Giacomo Jori, Ed. Cenobio, Lugano 2015) merita di essere segnalata per più di un motivo. Per il fatto di essere stata discussa da uno studente eclettico, destinato a grande fortuna come pittore e come narratore, oltre che organizzatore di cultura (sua l’omonima casa editrice: quando ancora era studente animava una rivista letteraria alla quale collaborerà lo stesso Primo Levi): notevole per quegli anni (i Cinquanta, quando la storia contemporanea non era ancora un insegnamento universitario riconosciuto ufficialmente) il tema affrontato e la raccolta di testimonianze orali messe insieme. Fu discussa per deroga dal docente di storia del Risorgimento Walter Maturi sotto la supervisione di un altro intellettuale eclettico torinese, che alla storia dell’Europa orientale dedicherà studi assai importanti, Giorgio Vaccarino. L’importanza principale deriva però dalla vicenda editoriale di questo libro, per il quale l’autore ebbe subito un contratto da Einaudi, ma si vide poi inaspettatamente restituire il manoscritto alla vigilia della stampa. Nella ottima introduzione Jori svela i retroscena del rifiuto, ricorrendo ai verbali delle leggendarie riunioni del mercoledì, dove la tesi di Lattes fu al centro di una accesa discussione fra Franco Venturi e Corrado Vivanti, a sua volta degna di considerazione. Al pari della vicenda editoriale di “Se questo è un uomo”, cui l’editore antepose Antelme, Lattes fu messo da parte per far posto ad un libro affatto diverso, sullo stesso argomento, “Ricordati cosa ti ha fatto Amalek” di Alberto Nirenstein. Sbagliato dire che Einaudi rifiutasse i temi ebraici a priori, faceva le sue scelte: non sempre lungimiranti. Al pari del caso-Levi, il caso-Lattes, per non dire del quasi coevo caso-De Felice, fornisce un ulteriore tassello nella romanzesca vicenda del rapporto complicato e sorprendente della casa editrice torinese con il tema delle persecuzioni antiebraiche. Un argomento che può forse adesso essere esaminato nel suo complesso.
Alberto Cavaglion
(2 dicembre 2015)