Dina
Abbiamo appena letto nella Parashat Vaishlach del rapimento e dello stupro di Dina, una delle poche violenze sessuali esplicitamente menzionate nella Torah, eppure episodio parentetico di fronte agli accadimenti, ben più determinanti per Am Israel, del temuto incontro tra Yakov ed Essav, della lotta di Yakov con l’angelo e del conseguente cambio di nome da Yakov ad Israel, infine della nascita di Byniamin e morte della madre Rachel.
Chi era Dina? Perché di lei si parla pochissimo e per brevi cenni, solo tre volte a proposito della nascita, dello stupro e della partenza verso l’Egitto a causa della carestia? Perché viene descritta senza lasciarle voce e senza onorarla spiegandone il nome o celebrandone la nascita con canti, come per gli altri nati, nonostante sia l’unica figlia femmina di Yakov mai menzionata? Perché il testo ce la descrive succintamente come figura di riflesso, figlia di Leah (partorita a Yakov)? Perché non è attorniata da altre figure femminili, spesso anche in contrasto tra loro, ma sempre in dialogo? E perché anche nell’episodio del suo stupro suscita tra i Maestri maggiore interesse e discussione non tanto quanto accaduto a Dina bensì la reazione dei fratelli Shimon e Levi, i quali si vendicano colpendo l’aggressore e tutti i suoi concittadini maschi?
Dina viene forse punita perché viola la tzniut, la modestia che la vorrebbe tranquilla a casa e non fanciulla curiosa che esce a guardare le ragazze straniere (Bereshit Rabbà 18,2; 45,5; Pirqé de Rabbi Eliezer 38,4), o più probabilmente, come interpreta Rashi, Dina è una tzaddikah il cui intento era avvicinare le ragazze idolatre alla Torah? Dina sarebbe dunque il pegno per punire in realtà il padre Yakov, colpevole di averla nascosta a Essav, invece di permettergli di sposarla ed offrirgli così l’opportunità di tornare sulla via della Torah: questo sembra suggerire il Tamud (Bava Batra 123a) descrivendo il raccapriccio della madre Leah all’idea che la figlia possa sposare il violento ed idolatra Essav, e le sue preghiere affinché ciò non avvenga.
Un Midrash (Yalkut Shimoni 134) narra che dallo stupro Dina genera una figlia la quale poi, in Egitto, colpirà favorevolmente Yossef per il suo rispetto della vita ebraica, tanto che la sposerà e da lei avrà Efraim e Menashe, più cari al nonno Yakov dei sui stessi figli, per la loro spiritualità e per la loro vicinanza reciproca (i primi fratelli della Torah non in conflitto tra loro), tanto da meritarne la benedizione che ancora oggi noi recitiamo sul capo dei nostri bambini maschi la sera di Shabbat.
Non è plausibile invece che Dina sia una ragazza (una bambina ancora in realtà) troppo autonoma, cui lo spazio nella tenda domestica appare angusto? Dina vuole vedere il mondo fuori, e magari anche provare a cambiarlo. Verrà punita, prima ancora che con lo stupro, togliendole la voce, la possibilità di esprimersi. Non la ascoltano le ragazze straniere, non il padre, non lo stupratore, non i fratelli che ne vendicano l’onore più per se stessi che non per il suo bene, tanto è vero che agiscono di propria iniziativa senza averla interpellata.
Una ‘colpa’ ancora oggi, quella dell’autonomia femminile e della paura maschile di aver perso il proprio ruolo ed insieme il controllo sulla donna, che spesso è il principale movente della violenza sulle donne, anche in classi sociali che lo stereotipato pensiero comune vorrebbe inclusive e tolleranti perché acculturate e benestanti.
La Torah illustrata pubblicata da Morasha per i bambini ritrae Dina semidistesa, trascinata per i capelli dal tracotante Shekhem il quale dopo averla portata via “la afflisse”, un termine che ritornerà a proposito delle violenze egizie sugli schiavi ebrei (Shemot 1, 11). Una violenza, commenta Rashi, probabilmente sia fisica sia psicologica: questo il prezzo pagato da Dina per la sua autonomia di pensiero e di azione. Due bambini, osservando quell’immagine, hanno commentato che ricordava loro quanto aveva commesso il padre nei confronti della madre.
Nulla è lasciato al caso, e abbiamo letto della violenza su Dina in Vaishlach appena dopo il 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Sara Valentina Di Palma
(3 dicembre 2015)