Periscopio – Il gran rifiuto
Se vivessimo in un mondo normale – un mondo nel quale gli uomini camminano con i piedi per terra e la testa in aria, nel quale i pesci nuotano e gli uccelli volano, i cani abbaiano e le pecore belano -, tutti i giornalisti del mondo, tutti i politici e i diplomatici, tutti gli esperti e gli analisti internazionali, tutti i membri e i responsabili di organizzazioni umanitarie e intergovernative, tutti i religiosi, i pacifisti, gli artisti impegnati: tutti coloro, insomma, che, in ogni modo e a qualsiasi livello, si interessano in qualche misura di tematiche mediorientali, avrebbero dovuto, nei giorni scorsi, fare un balzo sulla sedia, chiedendosi con gli occhi dilatati dallo stupore: “Ma forse sto avendo le traveggole? Ma è mai possibile?”. Le linee telefoniche avrebbero dovuto immediatamente intasarsi di chiamate intercontinentali, con tutti a chiedersi: “Hai letto pure tu? Ma allora è vero? Finora abbiamo sbagliato tutto? E adesso cosa facciamo? Dobbiamo cambiare tutto? E come si fa? Che scuse troviamo?”.
Questo, in un mondo normale – quello nel quale i cani abbaiano ecc. ecc. – sarebbe dovuto accadere nel momento in cui è stato reso noto l'”outing” del Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas (alias Abu Mazen), il quale, in un’intervista a un canale televisivo israeliano, ha candidamente ammesso di avere sprezzantemente respinto la proposta di pace presentata nel 2008 dal premier israeliano Ehud Olmert che avrebbe dato luogo alla nascita di uno stato palestinese che avrebbe incluso tutta la Striscia di Gaza, quasi tutto il West Bank (con lo smantellamento di quasi tutte le colonie, e alcuni scambi territoriali per compensare integralmente la permanenza di quelle che sarebbero rimaste) e un corridoio che avrebbe collegato i due territori.
La cosa particolare del “gran rifiuto” è che esso sarebbe avvenuto (anzi: “è avvenuto”) alla fine di un’estenuante serie di incontri bilaterali (ben trentasei), in cui ogni centimetro quadrato di terra, ogni millimetro di confini è stato minuziosamente, meticolosamente concordato tra le due parti in discussioni caratterizzate da un’attenzione maniacale a tutti i benché minimi particolari, nella consapevolezza che occorresse eliminare del tutto qualsiasi margine di dubbio o ambiguità.
Giunti alla fine di questa defatigante maratona, al momento dell’agognata firma, il Presidente palestinese ha detto di no. Forse, sulla mappa che gli ha sottoposto il suo infido interlocutore, alla fine era stato apportato qualche subdolo cambiamento, stavano cercando di carpire la sua buona fede, il fiero arabo ha sventato un proditorio inganno, ordito dall’astuto ebreo approfittando del clima amichevole che si era andato creando?
Niente di tutto questo. La giustificazione del rifiuto, a detta dello stesso Abu Mazen, sarebbe consistita nel fatto che lui, testuale, “non era interessato”, e poi che Olmert non voleva consegnargli la mappa se i due Presidenti non l’avessero prima congiuntamente accettata e firmata.
Che si fosse arrivati al momento finale dell’accordo, con tutti i particolari affrontati e risolti, d’altronde, era già stato ampiamente rivelato non solo da Olmert (al quale, naturalmente, nessuno volle credere) ma anche dallo stesso capo negoziatore palestinese Saab Erekat, il quale, nel 2009, così ricostruì il diniego del suo capo: “non siamo al mercato. Traccerò i confini del futuro stato palestinese lungo quelli del 4 giugno 1967, senza rimuovere un solo centimetro né una singola pietra”.
Ora anche Abu Mazen lo conferma. Non è interessato. Ci possono essere trentasei incontri, trecentosessanta, tremilaseicento, ma alla fine la risposta sarà sempre la stessa. Perché uno dovrebbe dire di sì a qualcosa a cui non è interessato? È questa la risposta che, in genere, diamo a quei ragazzi dei call center che ci chiamano, a volte anche importunandoci un po’, per cercare di venderci qualcosa. “Non sono interessato”. Solo che noi non chiediamo loro di incontrarci per trentasei volte. Ma il Presidente, nonostante la sua alta responsabilità, non ha proprio un modo migliore per impiegare il suo tempo?
Questa è la notizia che avrebbe dovuto fare sobbalzare sulla sedia tutti quelli che, da sempre e per sempre, criticano Israele perché non vuole la pace, si oppone alla pace, ostacola la pace, e che presentano la Palestina come l’eterna vittima, sempre anelante, invano, alla fine dell’occupazione. Ma la notizia ha suscitato lo stesso interesse di un pareggio in una partita di calcetto scapoli contro ammogliati. Evidentemente, il mondo non è tanto normale. Gli uomini camminano sulla testa e con i piedi in aria, gli uccelli nuotano, i pesci volano, le pecore abbiano e i cani belano.
Francesco Lucrezi, storico
(9 dicembre 2015)