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La profonda crisi della politica americana emerge in modo emblematico in questa fase iniziale delle elezioni primarie. Al vertice, Barack Obama all’inizio del suo ultimo anno di presidenza sembra aver tirato i remi in barca. La sua velleitaria, contraddittoria o addirittura anacronistica politica medio-orientale ha lasciato un enorme vuoto che altri – capeggiati da Vladimir Putin – tentano di riempire.
Va detto, a parziale vantaggio di Obama, che l’economia americana si è notevolmente ripresa dopo il collasso del 2008-2009, e questa è la cosa che maggiormente interesserà agli elettori il giorno del voto. Fra i democratici il solo oppositore di Hillary Clinton – brillante donna politica che però sembra aver superato la vetta delle sue capacità, sembrando oggi un po’ stantia e fumosa – è il populista, radicale e anticonformista Bernie Sanders. I 15 candidati repubblicani guidati da Donald Trump formano una processione per lo più di lunatici, ciarlatani, ignoranti, eccentrici, estremisti, con qualche eccezione di esperienza manageriale, equilibrio e moderazione.
Lo sconcertante campo dei partenti sembra soprattutto una compagnia di personaggi in cerca di autore che si rivolgono direttamente alla platea solleticando i suoi istinti più semplici. Al momento attuale sembrerebbe logico pensare che nel novembre 2016 la finale sarà fra la Clinton e uno dei candidati repubblicani più ragionevoli, come Marco Rubio o Carly Fiorina. Se la situazione economica non cambierà drammaticamente nei prossimi mesi, la vittoria del partito democratico alle presidenziali sembra probabile. La politica americana attraversa una fase di transizione. Il quesito a cui nessuno sa rispondere è transizione verso che cosa?

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(10 dicembre 2015)