esperienze…
Nel Talmud e nella letteratura rabbinica spesso Chanuka è associata a Purim. Per esempio nel Mishneh Torah di Rambam si trovano addirittura nello stesso capitolo: “Hilchoth Meghillah veChanuka”. Nei Siddurim leggiamo Al HaNissim per Chanuka e per Purim (con la prima parte in comune). Dal punto di vista della Halachah entrambe le feste sono Mitzvoth MiDeRabbanan (di origine rabbinica), ma nello stesso tempo hanno entrambe caratteristiche simili alle Mitzvoth MiDeOraita (di origine scritturale): si pensi alla Meghillat Ester che “rende impure le mani” e al fatto che pur di accendere la chanukia a olio il povero è tenuto a vendere i propri vestiti.
Per quale motivo questo peso in più rispetto ad altre norme MiDeRabbanan? Per quale motivo spesso queste due festività vengono associate?
Entrambe le festività ci fanno rivivere due eventi fondamentali per la trasmissione della nostra identità ebraica, almeno quanto il Seder di Pesach. Entrambe le festività portano con se una tipologia specifica di Nes (miracolo, vessillo): un miracolo appunto è un vessillo che proclama la provvidenza divina.
Chanuka parla di un miracolo manifesto: il miracolo dell’olio (al di là dell’ordine naturale), il miracolo della forza spirituale su quella razionale, il miracolo della forza morale (i pochi giusti) su quella fisica (i molti malvagi). Solo attraverso il salto nella fede (si intende l’atto di fede, non il contenuto del credere) si possono notare i miracoli manifesti, non certo su basi puramente razionali. Distinguendo tra l’atto di fede e il contenuto del credere (il credo), la sintesi che si arriva a dare è: un minimo di credo e un massimo intuizione della presenza vivente di D-o: questa è la Emunah ebraica.
Purim parla di un miracolo nascosto: il miracolo nascosto nella storia della Meghillath Ester (“lo scoprimento del nascosto”). L’intervento di D-o, apparentemente assente, si nasconde dietro la “sorte”, “il caso”, il “pur”. Questa tipologia di miracolo non può essere colta se non sulla base di una intuizione personale (che arriva prima della ragione), dall’ansia esistenziale l’uomo può giungere all’intuizione della presenza di D-o nella sua vita:
scorgere la “mente” del D-o nascosto dietro l’ordine naturale delle cose (la Scienza): questa via può essere intrapresa partendo dall’osservazione empirico-matematica dell’ordine naturale (stabilito da D-o e autonomo), che in quanto intelligibile (limitatamente ai limiti umani) proclama la “mente” del Creatore;
scorgere la presenza di D-o (provvidenza) nella storia del mondo, nella storia del popolo ebraico, nella storia personale di ogni uno di noi: quanto non dipende dalle nostre libere scelte, dalle libere scelte degli altri su di noi, dall’ordine naturale, ma dipende dalla “sorte”, dal “caso, dal “pur” nasconde la “provvidenza” di D-o nella nostra vita: questa via può essere intrapresa solamente a posteriori ripercorrendo dal principio gli eventi della nostra vita, proprio come la lettura della Megillah. “Un uomo cono può vedermi e vivere” il momento presente sfugge, “mi vedrai solo da dietro”, ripercorrendo la tue esperienza personale. “Questo è il mio D-o e lo glorificherò, il D-o di mio padre e lo innalzerò”, la via verso D-o è un intuizione personale della sua presenza nella nostra vita: prima si deve avere un rapporto personale con il D-o Vivente, per poi riconoscerlo come il D-o dei nostri Padri, della nostra storia e tradizione. “Io sono HaShem il TUO D-o, che Ti ha fatto uscire (oppure “che è uscito CON TE”) dall’Egitto”. La fede ebraica non ha solo un aspetto soggettivo ma vive in una dimensione collettiva, costituendosi essenzialmente come memoria, la fede è quindi anche un ricordare nel senso forte del termine.
Questi due tipi di miracolo, rispettivamente ricordati in queste due feste, rappresentano le due vie principali che abbiamo per avvicinarci al D-o di Israele, entrambe non puramente razionali. Ma per essere capaci di vedere un miracolo manifesto, dobbiamo prima riuscire a scorgere il miracolo nascosto nel quotidiano della nostra vita.
La festa di Chanukah ricorda la sopravvivenza del pensiero ebraico sull’ellenismo: la via ebraica verso il D-o Vivente non è speculativa, ma esperienziale. D-o non è un concetto ma un essere vivente. La speculazione dei filosofi inizia generalmente con un concetto sull’essenza di D-o, per poi procedere semplicemente a discuterne l’esistenza. Credere in D-o, però, non è un fatto che nasca da riflessioni speculative, ma da momenti in cui ci si sente sopraffatti dalla coscienza del Suo esistere. Sono questi momenti che conducono alla comprensione della Sua essenza. Momenti di intuizione del miracolo nascosto. La realtà di D-o è antecedente a tutte le idee e i concetti che l’uomo può comprendere. L’errore sta nel partire da un concetto umano e poi cercare di adattarvi l’immagine di D-o. La letteratura rabbinica, come la Torah, considera l’esistenza di D-o una presenza vivente. D-o non è il concetto di D-o, il quale soltanto mostra le tracce sbiadite. La superba pretesa di attingere la divinità con puri concetti non è ebraica ed è controproducente, allontana e respinge ciò che si vorrebbe cogliere e penetrare. Quando si è ridotti a credere che D-o sia solo il concetto, posto che il concetto è il frutto del pensiero dell’uomo, D-o è una creatura dell’uomo, e la religione un processo interno della mente. Il dialogo con D-o, allora, è un monologo: una volta scoperta questa realtà, si può dire con Nietzsche che “D-o è morto”. Ma con tale annuncio in realtà nient’altro è detto se non che l’uomo è diventato incapace di afferrare una realtà per antonomasia indipendente da lui, e di rapportarsi ad essa. Senza la realtà dell’incontro esistenziale con il D-o Vivente tutte le immagini sono gioco e inganno. Il pensiero ebraico non teme di fare queste affermazioni molto forti chiamando ingannatori i filosofi. La filosofia di stampo greco, antica e oggettivante, al contrario del pensiero ebraico, inizia sempre con il prescindere decisamente dalla situazione concreta, cioè con un elementare atto di astrazione. Ma è una via senza ritorno. La filosofia cerca così di ottenere sulla via dell’astrazione la concretezza della situazione di partenza in quanto conoscenza, ma invano. L’Io della persona vivente non si può sperimentare come esistente mediante una tale deduzione, ma soltanto in un vero rapporto con il Tu. Un D-o che non è Persona Vivente è un idolo. Un D-o frutto della creazione dell’uomo, pur essendo concettualmente infinito, è finito, posto che dal meno non viene il più, e che perciò dalla mente umana finita, non può venire nulla che la superi infinitamente. Ma se D-o si riduce solo a questo, l’uomo non è più fondato, né tanto meno, è fondata la morale. Non è necessario saper qualcosa su D-o per intendere veramente D-o, e i veri ebrei credenti sanno parlare a D-o ma non di D-o. D-o è il Vivente, Fonte della Vita, conosciuto perché incontrato esistenzialmente con una risposta libera all’appello del Creatore. Le grandi immagini divine dell’umanità non nascono nella fantasia, ma dal reale incontro con la reale potenza e magnificenza divine. L’incapacità di riconoscere l’unità di D-o è imputabile alla inadeguatezza dell’essere singolo. Ma il pensiero idealistico, la filosofia negativa, porta all’incapacità di passare alla realtà e di conoscerla nella sua datità, affogato in un solipsismo senza ritorno. Ma poiché D-o è Realtà Vivente, nella stessa misura in cui viene meno la facoltà di affrontare la realtà, da noi indipendente, ma accessibile alla nostra ricerca e alla nostra dedizione, viene meno anche la capacità umana di rappresentare in immagini il divino. Chi è D-o allora? La risposta deve essere personale. L’unico vero D-o per l’ebraismo è quello incontrato personalmente e comunitariamente. L’incontro è esperienza esistenziale. D-o è dunque un D-o nella storia, sperimentabile nell’esistenza, è il D-o presente, esistenza personale la cui presenza viva viene considerata come l’attributo che ha un interesse immediato per colui al quale, fra tutti gli uomini, egli si manifesta. Solo chi ha sperimentato D-o storicamente, sa bene che egli ha creato i cieli e la terra.
Paolo Sciunnach, insegnante
(14 dicembre 2015)