…elezioni
Alle elezioni regionali in Francia il Front National non ne ha conquistata nemmeno una, pur avendo ottenuto al primo turno il primo posto in sei delle dodici regioni sul continente e il 28% del voto a livello nazionale.
La Francia offre una chiara prova di quanto la legge elettorale possa determinare il risultato finale. Non è solamente una questione di metodo, è una fondamentale questione di contenuto. Ricordiamo che al secondo turno passavano i candidati alla presidenza regionale che avevano ottenuto almeno il 15% al primo turno.
L’astensionismo è stato del 50% al primo turno e del 40% al secondo. In tre regioni – tutte di frontiera – il Front National ha superato il 40%, e il centrodestra ha potuto prevalere al secondo turno solo grazie alla rinuncia dei socialisti a concorrere. In diverse regioni dunque non ci sarà nessun deputato socialista, anche se i socialisti esistono numerosi.
Nei parlamenti regionali il partito vincitore si aggiudica un premio del 25% e il restante 75% viene distribuito proporzionalmente fra i partiti, incluso il vincitore, secondo il risultato del secondo turno. Il metodo garantisce assoluta governabilità a spese della rappresentatività degli elettori. Due significati della democrazia in rotta di collisione.
L’euforia che è esplosa fra i cultori della democrazia in Francia dopo lo sventato pericolo di una possibile vittoria degli xenofobi e dei razzisti appare per lo meno prematura.
Il Front National infatti viene escluso dal governo, ma esce molto rafforzato come unica opposizione di fronte alla grande coalizione che di fatto si è creata fra centrodestra e sinistra. È questa grande coalizione, divisissima, che deve ora dimostrare di saper governare. I problemi della Francia, che sono anche quelli dell’Europa, sono ancora irrisolti, e non sono solamente gli atti di terrorismo e l’immigrazione di massa in corso dai paesi islamici e africani a destabilizzare la società. C’è anche la crisi che da anni coinvolge l’economia e la solidarietà consociativa di tutti i paesi europei e crea seri dubbi sulla sopravvivenza del progetto di unione.
Ma lasciamo l’Europa ai suoi problemi e pensiamo per un momento a che cosa succederebbe se in Israele (dove non esistono elezioni regionali) fosse adottato su base nazionale il metodo elettorale delle regionali francesi. Dei 13 partiti rappresentati alla Knesset, solamente due avrebbero superato il primo turno, il Likud e l’Unione Sionista (laburisti e centristi), che si sarebbero poi spartiti i seggi al secondo turno. Può sembrare incredibile, ma la Knesset non avrebbe nemmeno un rappresentante dei partiti arabi, dei nazional-religiosi, dei haredim, degli ashkenaziti e dei sefarditi, niente Merez, niente Lieberman, niente Lapid, niente Kahlon.
Ci sembra già di sentire le voci indignate dei sostenitori del pluralismo democratico di Israele – che è anche la radice della sua ingovernabilità. Com’è possibile che tanti elettori non abbiano la loro rappresentanza in parlamento? Una soluzione ci sarebbe: la creazione di grandi coalizioni di partiti che condividano una certa piattaforma prima delle elezioni, e l’allocazione a priori di seggi ai membri delle diverse formazioni all’interno di queste coalizioni. Ma il nodo rimane: un metodo elettorale che in Israele appare poco democratico, a detta di molti ha salvato la democrazia in Francia. E se invece fosse proprio il metodo elettorale francese la vera via per salvare la democrazia israeliana?
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
(17 dicembre 2015)