Qui Genova – La mostra sulla fotografa
Lisetta Carmi, scatti di vita
“L’amore è tutto, un fotografo deve amare la vita, le persone, questo è l’unico segreto che conta. Io amo i poveri soprattutto, i deboli, chi non può difendersi“. Così Lisetta Carmi ha sintetizzato quello che l’ha guidata nella sua lunga carriera, in mostra fino al 31 gennaio al Palazzo Ducale di Genova, con il più alto numero di fotografie mai esposte: 220 immagini che ripercorrono l’intero percorso creativo della grande fotografa ebrea. La sua città le rende dunque omaggio con una retrospettiva, intitolata “Il senso della vita. Ho fotografato per capire” che racconta il legame che aveva con essa e i suoi abitanti, ma anche i suoi viaggi in giro per il mondo tra cui quelli in Israele, Afghanistan, India, America latina, e tutta l’arte dei suoi ritratti più conosciuti.
Furono le persecuzioni razziste a segnare l’adolescenza e la carriera di Carmi. Espulsa dalla scuola, mentre i suoi fratelli andarono a studiare in Svizzera, rimase nella sua casa genovese con una sola compagnia, quella del pianoforte. Fu così che iniziò una carriera da concertista ma “quando gli avvenimenti politici italiani con il governo Tambroni generano una svolta a destra – scrive in un saggio nel catalogo della mostra Giovanna Chiti – Lisetta sente l’urgenza di prendere posizione, non può più accettare di rimanere in casa a proteggere le sue mani di pianista da possibili incidenti”. Così abbandonò la carriera musicale, ma fu grazie all’amico etnomusicologo Leo Levi che si avvicinò alla fotografia, quando le propose di accompagnarlo in Puglia dove doveva studiare i canti di una comunità ebraica. Affascinata dalla luce e dalla bellezza del Salento comprò in quell’occasione la sua prima macchina fotografica, un’Agfa Silette, e i soggetti dei suoi primi scatti sono proprio San Nicandro, Rodi Garganico, Venosa, le catacombe ebraiche. Del resto, il legame tra musica e fotografia è rimasto forte per tutta la sua vita: ”Come nella musica, nelle mie foto c’è ritmo, il ritmo della musica che ho studiato per 35 anni”.
Ed è un ritmo forte ma allo stesso tempo armonioso quello delle fotografie di Lisetta Carmi, dove la sofferenza e l’emarginazione trovano una dignità artistica dando vita a un variegato sfondo in bianco e nero di umanità e coraggio. Dietro il suo obiettivo non sono passati solo i protagonisti del mondo culturale che animava la Genova negli anni settanta ma anche tutta la città, fermata nelle sue contraddizioni più profonde e nascoste, che aprono la mostra per volere del curatore Giovanni Battista Martini. Vi si ritrovano il porto con i suoi volti sfigurati dalla fatica, i travestiti che furono oggetto nel 1972 di un libro che fece scandalo, i bambini che “sono la vera ricchezza del mondo”. E poi gli artisti, come Lucio Fontana, Leonardo Sciascia, Claudio Abbado, Joris Ivens, un giovanissimo Carmelo Bene, Edoardo Sanguineti e Lele Luzzati. Tra questi ultimi vi è anche il poeta Ezra Pound, ritratto in vestaglia nera dalla porta della sua casa di Rapallo. Nonostante fosse una figura controversa e nonostante le sue note posizioni antisemite, secondo Carmi Pound “non era fascista. L’ho fotografato in 4 minuti – le sue parole – ma in quei 4 minuti ho capito quale grande poeta era e soprattutto che non era fascista”.
Poi il corso della sua vita prese di nuovo altre svolte in seguito ai suoi viaggi in Oriente che la portarono a fondare il primo ashram italiano nel 1979 a Cisternino in Puglia, e Carmi ricollega il suo allontanamento dalla fotografia allo stimolo che dà il titolo alla mostra. ”Io fotografavo per capire gli altri, il mondo, mi serviva quel mezzo per arrivare a loro, per vederli e per vedere me stessa attraverso di loro, quando ho imparato a capire senza bisogno della fotocamera allora ho smesso. Non è la fotografia che mi interessa – ha concluso – ma le persone”.
f.m. twitter @fmatalonmoked
(Nell’immagine uno scatto al porto di Genova del 1964)
(22 dicembre 2015)