Ticketless – Monoteisti monotoni
Torno sull’art. 3 e la proposta di sostituire la parola “razza” dalla carta costituzionale. Il Ticketless della scorsa settimana ha raccolto consensi e (parziali) dissensi. Credo opportuno precisare: anch’io penso che sarebbe sbagliato trovare un sinonimo non offensivo. Non bisogna avere paura delle parole. Il motivo di allora è comprensibile, sì, ma attenzione a non considerare immutevoli le parole solo perché inserite in Costituzione: le parole, come le persone, sono mutevoli. Oggi mi ha scritto un vecchio e caro amico: “Dovremmo limitarci a dire che tutti i cittadini sono uguali. Poi magari si porrà il problema su chi sono i cittadini, ma quella è un’altra battaglia”. Giusto. Tra l’altro la parola ha subito nel corso degli ultimi due secoli una impressionante metamorfosi. Nell’Ottocento e primo Novecento era sinonimo di “genere umano” e come tale serenamente adoperata da poeti e scrittori ebrei. Fa sempre un po’ sorridere lo sdegno di taluni storici seri quando accusano quei poeti e scrittori di essere precursori del razzismo mussoliniano (è capitato spesso nel recente dibattito sull’antisemitismo nostrano). Proprio in questi giorni mi è tornata davanti agli occhi una memorabile lettera di Isacco Artom, una fra le tante riscoperte da Liana Funaro, dove quel Grande dimenticato, non sempre generosissimo verso la tradizione dei Padri, confessa di amare poco “le tradizioni della razza monoteista, ed ahimé, monotona per eccellenza”. Prometto che dalla prossima settimana e fino a dopo il 27 gennaio 2016 non parlerò più di razzismo. Ticketless è terrorizzato all’idea di apparire monotono.
Alberto Cavaglion
(23 dicembre 2015)