Il settimanAle
Dall’analista

alessandro-treves Come un marito violento che non ha ancora ben deciso se entrare in terapia, per affrontare una volta per tutte il capitolo doloroso dei rapporti con la ex moglie. Allora esita, si fa consigliare uno specialista, prende un appuntamento, poi lo disdice, poi ci ripensa e prova ad andare da un altro. Così Israele, con la differenza che la ex moglie purtroppo non è ancora ex, forse non lo sarà mai, anzi è avvinghiata a lui in una stretta soffocante in cui entrambi si sentono presi alla giugulare. Il coraggio di andare a raccontare tutto all’analista l’hanno trovato i giovani di Shovrim Shtikà, Rompere il Silenzio, l’associazione di militari che vuole portare la società israeliana a confrontarsi con la situazione nei territori occupati, dove loro hanno prestato servizio.
Attaccati dalle destre, in questi giorni un numero crescente di personaggi chiave dell’apparato militare prende le loro difese. Dopo Yuval Diskin, ex capo dello Shin Bet, il 22 dicembre si sono pronunciati in loro favore Alik Ron, ex capo della polizia nel Nord del paese allo scoppio della seconda Intifada, e Ami Ayalon, Medaglia al Valore, ex capo della Marina, nonché anche lui, 9 anni prima di Diskin, dello Shin Bet. E Allison Kaplan Sommer ricorda su Haaretz del 21 dicembre che John Kerry, il segretario di Stato americano, fu lui stesso uno “shover shtikà”. Nel 1971, a 27 anni, ferito e decorato in Vietnam, il giovane Kerry raccontò in un’audizione alla commissione Esteri del Senato USA l’esperienza sua e dei suoi compagni d’arme. Vuotò il sacco, contribuendo in misura significativa a far capire al proprio paese cos’era diventata quella guerra.
Ma forse una delle prese di posizione più interessanti è stata quella del generale della riserva Amiram Levin, ex capo dell’unità di elite Sayeret Matkal e vice capo del Mossad. Levin ha sottoscritto l’annuncio “anche io rompo il silenzio” per dire che la voce di Shovrim Shtikà rafforza la difesa di Israele, e chi la danneggia sono invece coloro che la vogliono tacitare. Gideon Levy ha ripescato, il 20 dicembre, un articolo del 2006 su The Marker, in cui un giovane imprenditore allora pressoché anonimo esclamava “abbiamo bisogno di molti Amiram Levin”. Dichiarava che ci sono due tipi di comandanti nell’IDF, i commilitoni, che “contano sulle amicizie per tirare avanti, e i pensatori che invece si basano solo sui valori in cui credono, si curano più dei propri soldati che non della carriera, e non hanno paura di affrontare le critiche. Amiram Levin è per me l’esempio di questo secondo tipo di comandante”. Così scriveva nel 2006 Naftali Bennett, lo stesso ministro Bennett ora diventato capo dell’ultra-destra, e in prima fila nella campagna di intimidazione dei soldati che hanno rotto il silenzio.

Alesandro Treves, neuroscienziato

(27 dicembre 2015)