Tzaddik…

Il Chasid (da “chesed”, cioè amore, benevolenza, carità e misericordia), e lo Tzaddik (da “tzedek”, giustizia, rettitudine), sono nomi comuni già nella Torah Scritta, e designano l’uomo pio, dedito all’osservanza della Torah. “Ghemiluth Chasadim” sono le “azioni di amore benevolo” verso il prossimo: un atto a favore di qualcuno da parte di un altro. Il valore numerico (Ghematriah) della parola ebraica “Torah” corrisponde al valore numerico dell’espressione ebraica “Ghemiluth Chasadim”, stando a significare l’assoluta importanza per la Torah delle azioni di amore verso il prossimo. “Amerai il tuo prossimo come te stesso, Io sono D-o (Levitico 19, 18), questo è il più grande principio della Torah” (Talmud Bavli, Nedarim 9, 4). Insegnamento di Hillel: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te: ecco la Legge. Il resto non è che commento. Vai e Studia” (Shabbath, 31a). Questa è la Legge: “amerai il tuo prossimo come te stesso, tutto quello che vorresti che il tuo prossimo faccia a te fallo tu al tuo prossimo” (Rambam). Hillel non a caso enfatizza l’aspetto etico come base dell’ebraismo. Non è detto infatti qui “mangia Kosher: questo è tutta la Torah. Il resto non è che commento. Vai e studia”.
L’impostazione etica appartiene ai fondamenti dell’ebraismo e quindi essere un ebreo religioso significa essere etico. Fede ed etica sono da considerasi come un’unità integrale che non permette al proprio interno la divisione tra le due componenti, così come le due Tavole della Legge, con i rispettivi ambiti (verso D-o e verso l’uomo), sono inseparabili.

Il Chassid (il Pio) e lo Tzaddik (il Giusto) sono figure alle quali vengono attribuite caratteristiche di amore, carità, giustizia e generosità, e che svolgono un ruolo importante nell’immaginario etico ebraico.

Partendo dall’analisi di alcuni brani biblici relativi alle figure di Abramo, di Mosè, di Giobbe e di Qohelet, si profila l’identità dello Tzaddik, il Giusto, nella tradizione ebraica. Lo Tzaddik è un uomo dotato di grandezza morale e audacia di spirito, un uomo che va predicando e che porta la buona parola ai suoi fratelli. Egli vuole insegnare al popolo che si deve servire D-o nella gioia e nel fervore (Abramo); che non ci si deve fermare alla superficie di se stessi; che bisogna opporsi all’umiliazione e lo scetticismo; che la disperazione non serve a nulla, non più dei lamenti; che non esiste un male assoluto nel mondo; che possiamo costringere D-o a cambiare il corso della storia se solo lo desideriamo veramente (Giobbe); che si può trasformare l’esilio in spiritualità; che al di là della verità del Testo Sacro, c’è quella, più convincente, del cuore, dell’amore e dell’anima ebraica (Mosè). Egli insegna che si può essere principi anche dopo aver perso tutto; che nessun ebreo è totalmente perduto (Giobbe); che ogni corsa agli onori è necessariamente stupida e segno di dipendenza; che la celebrità non ha nulla di invidiabile, non essendo che vanità (Qohelet); che l’ebreo ha prima di tutto bisogno di riscoprire se stesso; che la routine è dannosa; che si può imparare qualcosa da chiunque, per quanto modesto egli sia; che ognuno può liberamente dedicarsi allo studio della Torah (Mosè con Ytrò). Uno Tzaddik insegna l’umiltà e l’allegria, la parola e il silenzio, la libertà di pensare e quella di interpellare D-o (Abramo, Mosè e Giobbe); denuncia coloro che sono attaccati alle ricchezze e alle vanità del mondo (Qohelet). Lo Tzaddik vuole costringere D-o a spiegare che cosa vuole e che cosa si aspetta con esattezza da ogni ebreo (Mosè); qual’é il senso di tutto il male che imperversa nel mondo (Giobbe). Il dialogo con D-o è d’altro canto una caratteristica peculiare di questi maestri della vita ebraica. L’esempio è Abramo, che apostrofa D-o senza mezzi termini mentre si appresta a distruggere Sodoma e Gomorra: “Forse che il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?” (Gen 18,25). E capita che, in vari processi a D-o, i Giusti dicano tutto ciò che hanno nel cuore. Lo Tzaddik pone le proprie condizioni a D-o sulle circostanze di una liberazione del popolo ebraico dall’esilio (Mosè dopo il Vitello d’Oro), si considera come l’amico e il confidente di D-o. Gli dà consigli. E ritorna anche la stessa domanda, lancinante: dov’è D-o? perché si nasconde? (Giobbe). Il D-o di Israele non ha nulla a che fare con il D-o obbligatorio e senza libertà di Spinoza. Colui che parlò e il mondo fu, colui che è in ogni cosa è libero nel proprio agire e liberamente, per propria volontà, ha creato il mondo e ha fatto un Patto con Israele. Ma affinché il Patto regga, entrambi sono tenuti a rispettarlo. Per lo Tzaddik servire D-o è un piacere, una gioia, non solo un obbligo. La preghiera dei Giusti può sconvolgere D-o stesso. L’essenziale è che il pensiero sia sincero. Come viene giudicata la fede del Giusto nel D-o unico? La risposta è semplice: secondo il metro dell’amore per il prossimo. Tocca allo Tzaddik applicare l’amore e i suoi atti di misericordia verso il prossimo (Ghemiluth Chasadim). Lo Tzaddik non ama la comodità intellettuale. Preferisce gli uomini tormentati, quelli che vegliano, gli ostinati, coloro che hanno una grande voglia di essere ebrei, coloro che vogliono sopravvivere a tutto e nonostante tutto. I Giusti sono attaccati alla vita, ma non per farne una cosa qualsiasi, per santificarla attraverso lo studio e l’osservanza della Torah. “Scegli la vita”, dice il D-o vivente. Bisogna innanzi tutto farvi trionfare la giustizia e la fratellanza. Assetati di giustizia, i Giusti protestano, vociferano contro un mondo impietoso.

Paolo Sciunnach, insegnante

(28 dicembre 2015)