…vergogna
Mi è impossibile questa settimana parlare d’altro che di questo.
Ormai molti anni fa, in una riunione in Normandia fra ebrei israeliani e ebrei della Diaspora, organizzato da Diana Pinto, ci fu un acceso confronto tra il giornalista di Haaretz Gideon Levy e André Glucksmann, il filosofo francese recentemente scomparso. Levy sosteneva di essere molto più colpito dalle violenze degli ebrei che da quelle dei palestinesi proprio perché i primi erano ebrei e si sentiva ‘parte’, li sentiva come sentiva se stesso, a lui vicini. Glucksmann respingeva la sua posizione in nome dell’universalismo, in nome di tutta l’umanità. Allora, mi sentivo più vicina a Levy da un punto di vista emotivo, benché convinta delle idee di Glucksmann dal punto di vista razionale. Una suggestione di Carlo Ginzburg mi ha aiutata a sciogliere questa matassa: l’identità, l’appartenenza nazionale sono sentite soprattutto attraverso la vergogna. Mi sento italiano soprattutto quando mi vergogno della politica italiana, ad esempio. Verso gli altri paesi, il sentimento della vergogna non c’è, ce ne possono essere molti altri ma non questo.
Allora, è vergogna che provo per l’oscenità della festa di matrimonio a Gerusalemme che esaltava l’assassinio della famiglia Dawabsha. Mi vergogno, come altri miei correligionari – italiani e israeliani – che hanno denunciato con forza il fatto, non ultimo lo stesso premier Netanyahu. Non abbiamo nulla da spartire con questi estremisti, né pensieri, né percorsi di vita, né emozioni, né comportamenti politici. Nel groviglio di identità plurime in cui tutti siamo avviluppati, questo fatto, come tanti altri prima, fanno però emergere la mia identità ebraica, ammesso che questa parola “identità” abbia un senso. Mi vergogno e sono certa che molti altri ebrei proveranno questa vergogna e la diranno a voce alta. Perché anche loro, gli estremisti, imparino a vergognarsi.
Anna Foa, storica
(28 dicembre 2015)