Il presidente dei rabbini italiani
“Dialogo, segnali confortanti”

rav giuseppe momigliano“Il clima è sicuramente diverso rispetto a qualche decennio fa. Sarebbe sbagliato illudersi che i problemi non esistano più, ma alla Chiesa e ai suoi rappresentanti va comunque riconosciuto un impegno sincero. E questo è senz’altro un ottimo presupposto”.
Cinquanta anni di Nostra Aetate, nuovi impegni e progettualità, la prossima visita di Bergoglio al Tempio Maggiore di Roma. Per rav Giuseppe Momigliano, presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia, il dialogo ebraico-cristiano conosce una stagione “importante”. Ma affinché funzioni davvero, ammonisce, è fondamentale essere se stessi fino in fondo. Introiettando ad esempio la lezione di Chanukkah, la festa delle luci che afferma l’ineludibile proiezione verso l’esterno testimoniata dal risplendere dei candelabri a otto braccia alle finestre del mondo libero. Ma a patto che dentro di noi arda una fiammella. La fiammella di un’identità solida e consapevole.
Non c’è vero dialogo senza consapevolezza, quindi?
Sì, assolutamente. Senza consapevolezza, senza conoscenza profonda delle proprie radici, il dialogo non va da nessuna parte. Il dialogo non è infatti reciproco annullamento e neanche sfumatura di diversità. L’unicità che è propria di ogni esperienza religiosa è anzi un valore da difendere. Un valore che rende tutti più ricchi.
C’è il rischio che questo fatto non sia sufficientemente chiaro?
Talvolta è accaduto e continua ad accadere. Per questo è importante lavorare su un doppio binario: avanzare sul piano del reciproco riconoscimento e sulla pari dignità che deve essere riconosciuta ai diversi interlocutori; far sì che le differenze, che esistono e vanno tutelate, non intacchino un lavoro comune sui grandi temi dei nostri tempi. Grandi temi che non sono solo condanna dell’orrore e richiesta ai musulmani moderati di rinnegare gli atti atroci che vengono associati in modo blasfemo all’Islam. Sarebbe fuorviante.
Cosa serve allora?
Uno sforzo congiunto affinché le religioni siano protagoniste delle sfide che investono l’intera umanità. Emergenza sociale, difesa dell’ambiente e della famiglia. Dobbiamo lavorare insieme, non c’è altra strada. E per far sì che i risultati vengano raggiunti è necessario che ciascuno chiarisca la propria identità e trasmetta un messaggio comprensibile.
A proposito di chiarezza, c’è chi sostiene che lo spirito e il messaggio della Nostra Aetate siano rimasti confinati esclusivamente a delle élite, senza interessare il cosiddetto uomo della strada. Concorda con questa lettura?
Fino a un certo punto. Il messaggio in parte è arrivato, anche se in certi settori in modo un po’ confuso. La riprova è nella scarsa conoscenza dell’ebraismo e delle sue tradizioni nel pubblico medio italiano. Quindi la conclusione è che ci sono delle lacune e che bisogna lavorarci sopra. Il percorso compiuto è comunque confortante, dobbiamo sempre tenerlo a mente.
Recentemente la commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo della Santa Sede ha diffuso un corposo documento di studio il cui intento è quello di approfondire la dimensione del dialogo. Che impressioni ne ha ricavato?
Si tratta di un documento importante, che analizza i rapporti della Chiesa con l’ebraismo sotto diversi punti di vista. E in particolare storico, teologico, programmatico. L’ampiezza stessa del testo rende l’idea del peso intrinseco. Anche in ragione di ciò è mia intenzione promuovere un confronto all’interno dell’assemblea rabbinica per riflettere tutti assieme, e in modo più esaustivo, sul significato e sul messaggio di questo pronunciamento.
Nelle stesse ore diventava di dominio pubblico un testo firmato da alcuni esponenti del rabbinato internazionale appartenenti alla corrente modern orthodox in cui si interpreta la nascita del Cristianesimo come parte di un piano divino “affinché ebrei e cristiani possano lavorare insieme per la redenzione del mondo”. Osservazioni?
Come ho già avuto modo di dire, comprendo lo spirito con cui è stato scritto. Ma non sono convinto che sia stata una mossa utile. Questo perché il piano teologico è sempre molto pericoloso e divisivo: non è la prima volta che accade. Meglio quindi concentrarsi su questioni in cui la collaborazione tra ebrei e cattolici può trasformarsi in qualcosa di concreto. Ciò detto, tra i firmatari del documento ci sono rabbini autorevoli e qualificati. Ma si tratta in molti casi di un’opinione espressa a titolo personale, senza una istituzione ebraica alle spalle.
Il 17 gennaio Bergoglio visiterà la sinagoga di Roma, terzo papa nella storia a varcare la soglia del Tempio Maggiore. Che significato attribuire a questo nuovo incontro?
Credo vada interpretato come un segnale che il dialogo non possa mai essere dato per scontato, ma sia invece frutto di uno sforzo quotidiano. È bene riflettere su dove si è arrivati e su dove si vuole andare. E che questo avvenga il 17 gennaio, giorno tradizionalmente dedicato al dialogo tra ebrei e cattolici, è un fatto che merita di essere sottolineato.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(29 dicembre 2015)