Ticketless – Bicocca square
Nei giorni dei disguidi e degli ingorghi festivi, il postino ci recapita l’ultimo libro della meritoria collana “Ebraica” delle edizioni Le Château (Aosta), un singolare romanzo: Bicocca Square. Lo ha scritto Guido Arturo Tedeschi.
L’autore ci ha lasciato proprio nei giorni in cui il suo libro usciva di tipografia e veniva inviato ad amici e lettori affezionati. Autore di manuali di diritto commerciale e di gestione di grandi impianti industriali, negli anni della “senilità” aveva riscoperto la grande lezione di sapienza del suo antenato Ettore Schmitz e si era dato alla letteratura, pubblicando tre romanzi presso questo stesso editore.
La proverbiale ‘scomodità’ dell’essere ebrei, immortalata da Svevo, ritorna in epigrafe di questa ultima fatica, ma è una chiave di lettura di tutto ciò che Tedeschi ha scritto: “Certo quella dell’ebreo non è una posizione comoda”. Il suo impegno nei movimenti giovanili ebraici del dopoguerra lo ricorderanno in tanti. Insegnava l’illustre avo triestino al giovane che nel dopoguerra cresceva nell’estrema periferia milanese, in quel quartiere della Bicocca dove ora sorgono grattacieli e molti dipartimenti universitari. Bicocca square è una speciale via Gluck milanese: là dove allora c’era l’erba e le case degli operai della Pirelli il visitatore odierno, alter ego dell’autore, ritorna con sgomento. Ruotano intorno a viale Sarca i ricordi del dopoguerra, della difficile ricostruzione e della memoria delle persecuzioni razziali rivissuta attraverso la rete delle amicizie perdute. Bicocca square non ha una trama precisa: destini individuali, separazioni forzate dettate dalla sveviana vita orrida vera. Chi andrà in Scandinavia, chi in Israele, chi rimarrà a custodire la fortezza di Bicocca Square continuando a lavorare nella panetteria. Per difendersi dalle sciagure umane, l’utopia sveviana invita, come sempre, al raccoglimento, nella speranza che un giorno si avveri il sogno di un’umanità divisa in due: quelli che scrivono e quelli che leggono ciò che gli altri scrivono.
Alberto Cavaglion
(30 dicembre 2015)