Il segno letterario e politico del caso Mortara
Un libro, questo di Elèna Mortara, che si può leggere su due livelli: è una monografia su Victor Séjour, scrittore e drammaturgo vissuto nel cuore dell’età delle emancipazioni, ma è anche una riflessione, fortemente motivata da ovvie considerazioni autobiografiche, sul caso-Mortara, qui esplorato – una volta tanto – non come episodio giuridico, ma come fonte di rappresentazione narrativa: prima che la scandalosa ingiustizia nella storia della libertà religiosa, la vicenda è restituita al mondo della fantasia creativa.
L’autrice ha preferito frapporre tra sé (la storia della sua famiglia) e la materia trattata un doppio filtro: quello della studiosa di letteratura americana e quello della intellettuale sensibile ai problemi dell’eguaglianza e della libertà.
Non poteva trovare figura-simbolo più rappresentativo. L’autore preso in esame si presenta come un modello ideale di quel binomio “esodo e rivoluzione” immortalato anni fa in un famoso saggio di Michel Walzer: non c’è in gioco, nella biografia di Victor Sèjour, soltanto l’emancipazione ebraica degli ebrei d’Europa, vista da oltreoceano, ma si affrontano nelle sue opere tutte le emancipazioni dell’epoca: delle donne, degli uomini creoli cone Séjour, scrittore nato in Louisiana, cresciuto in una famiglia francofona, poi emigrato e maturato nella Parigi del secondo Ottocento. “Trasgressore” per antonomasia, il Séjour, a suo agio solo quando era chiamato a “passare oltre i confini”. Crossing border, dice la Mortara con formula icastica.
Il caso-Mortara viene così sollevato di peso e tolto dall’alveo un po’ ristretto e puramente recriminatorio della letteratura giuridica e della storia dell’antigiudaismo ottocentesco. Il libro della Mortara si apprezza infine per la varietà dei registri stilistici, per l’agilità con la quale induce il lettore ad esaminare fonti diverse: testi narrativi, opere teatrali, stampe e incisioni d’epoca, soprattutto raffigurazioni satiriche e caricaturali, secondo il gusto francese fin de siècle. Il libro si apprezza dunque come un caso-studio, analizzato nelle sue diverse forme, anche figurative, e tanto più si ammira quanto più si riflette sul suo assunto di fondo: l’apologia della multiculturalità, la natura contagiosa del libero pensiero che agevolmente nell’Ottocento induceva gli scrittori a farsi paladini di tutte le forme di liberazione.
Un esercizio ginnico terminato nel Novecento nei rigori dei sistemi totalitari, che hanno anchilosato gli scrittori e i pittori portandoli a farsi tutti difensori della propria parte, esclusivisti e non inclusivi, privi cioè di quella solidarietà degli esclusi e degli oppressi che era la parte migliore della cultura occidentale andata mostruosamente a naufragare lungo gli scogli della Grande Guerra.
Alberto Cavaglion, storico Pagine Ebraiche gennaio 2016
Nell’immagine il quadro Il rapimento di Edgardo Mortara, firmato da Moritz Oppenheim (Hanau 1800, Francoforte 1882)
(1 gennaio 2016)