Milano, 150 anni da protagonisti
Se la Storia fosse un film, questo sarebbe il momento di uno di quei flashback in cui lo schermo diventa improvvisamente di uno sbiadito color seppia come se così si potesse tornare a vivere anni lontani.
La Comunità ebraica di Milano inizia infatti a ricordare il centocinquantesimo anniversario dalla sua fondazione, preparandosi a un 2016 ricco di momenti lieti e di riflessione per celebrare una presenza che accompagna l’Italia fin praticamente dalla sua nascita. E allora, dissolvenza.
Era il 1866, l’Italia neonata combatteva ancora la Terza guerra d’indipendenza mentre Milano era ancora in fermento dopo quelle famose Cinque Giornate che diedero inizio al tutto.
Prima di allora, gli ebrei nella città in mano ai Visconti e agli Sforza non potevano risiedere per più di tre giorni per affari, e dunque la presenza di un gruppo organizzato risale solo all’inizio dell’800 e in ogni caso nato come sezione della Comunità ebraica di Mantova, invece ben nutrita.
Con l’Unità d’Italia però gli ebrei mantovani stessi cominciarono a stabilirsi nel capoluogo lombardo e così quello scarno nucleo crebbe a tal punto che diventò più grande di quello originario e così nel 1866 per l’appunto si costituì un “Consorzio israelitico”, basato sul principio della adesione volontaria, i cui iscritti si impegnavano a pagare le tasse per il suo mantenimento.
La Comunità crebbe in fretta e si raccolse dapprima attorno a un piccolo centro in via Stampa, contiguo all’appartamento del rabbino Prospero Moisè Ariani.
Nel 1892 fu poi inaugurato il Tempio di via Guastalla, che con gli annessi uffici divenne il centro della vita liturgica. Poi si aprirono anche le scuole in un edificio in via Disciplini 11, dapprima un asilo al quale nel 1920 si aggiunsero le classi elementari, poi trasferite nel 1928 in una nuova sede in via Eupili.
La Comunità si allargava ancora, ma poco dopo iniziarono gli anni duri delle leggi razziste e delle persecuzioni. Furono però anche anni di impegno, legati soprattutto all’attività della Desalem, la Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei, l’ente creato nel 1938 dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per aiutare i profughi ebrei che fuggivano dai paesi sotto il controllo del Terzo Reich. Circa 5 mila ebrei espatriarono da Milano per raggiungere la Palestina o l’America e l’attività della Desalem proseguì fino al 1943, quando la sede fu distrutta da un bombardamento, e poi anche dopo clandestinamente dando
assistenza e rifugio agli ebrei rimasti in città e ai numerosi di passaggio verso l’espatrio clandestino in Svizzera.
La Shoah colpì però duramente la Comunità, dei cui 896 deportati nei campi di sterminio solo 50 tornarono a casa. Nell’agosto del 1943 anche il Tempio di via Guastalla era stato gravemente danneggiato e semidistrutto da un’incursione aerea.
Con la Liberazione, in attesa che fossero riparati gli edifici danneggiati dalla guerra, la Comunità ottenne in affitto il Palazzo Odescalschi, in via Unione 5, e riaprì la scuola. Intanto continuavano i viaggi clandestini verso la Palestina mandataria con l’aiuto della Brigata Ebraica.
Nel 1953 furono terminati anche i lavori di ricostruzione della sinagoga di via della Guastalla, nuovamente ristrutturata poi anche nel 1997.
Nel 1964 le scuole ebbero la loro nuova sede nel grande complesso di via Sally Mayer 4/6 ma in via Eupili rimangono ancora una sinagoga, il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec) e la sede del Benè Berith.
Dal dopoguerra in poi la crescita demografica della Comunità si è arricchita di nuovi apporti, in particolare da paesi arabi come Libia, Egitto, Siria, Iraq, Libano, nonché dalla Turchia e dall’Iran, dando vita ai numerosi gruppi etnici (o edot) che oggi la contraddistinguono nella sua particolarità nel panorama italiano. E così si torna al film a colori, i molti colori della Comunità ebraica di Milano. Per dare un primo assaggio dei grandi festeggiamenti che attendono il 2016, Italia Ebraica ha dunque chiesto ad alcuni dei presidenti e dei rabbini che hanno segnato la sua storia recente di condividere un loro pensiero.
Francesca Matalon
“150 anni da celebrare con la città”
Sono Raffaele Besso (nell’immagine a sinistra) e Milo Hasbani ad avere congiuntamente in mano le redini della Comunità ebraica di Milano proprio mentre questa compie i suoi primi centocinquant’anni, e di certo non intendono far passare l’evento inosservato. “È un anniversario importante e tra le varie iniziative che organizzeremo per ricordarlo – annuncia Hasbani – abbiamo deciso di dedicarvi il festival di cultura ebraica Jewish & the City, che si terrà in primavera”.
Un evento di grande richiamo, giunto ormai alla sua terza edizione, che chiama a raccolta la cittadinanza intorno alla Comunità, che dunque festeggerà con tutta la sua Milano. Del resto, fa notare Besso, un rapporto stretto con il territorio è da sempre tra le priorità della kehillah: “I rapporti con le istituzioni cittadine sono sempre stati ottimi, e per il futuro spero che potremo continuare in questa direzione, mantenendo sempre vivo il dialogo anche con le altre realtà religiose”.
“Comunità, questione di famiglia”
“Quando penso alla Comunità ebraica penso alla mia famiglia, arrivata a Milano negli anni ’70 del 1800 e impegnata da sempre in prima persona da sette generazioni”.
A raccontarlo è Roberto Jarach, ex presidente della Comunità, attuale vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, figlio di Guido Jarach, che fu a sua volta presidente. La sua famiglia ha davvero vissuto tutti i primi 150 anni della realtà ebraica milanese, e del suo lavoro Jarach ricorda in particolare quello sul fronte della scuola. Come assessore per un decennio nonché come vicepresidente della ORT Italia, ricorda, “ho partecipato alla riforma della scuola superiore portata a termine nel 1987 e la mia presenza nell’istituto è stata quotidiana”. Una responsabilità di cui Jarach si è sempre fatto portatore in quanto “la politica non mi interessa, ho sempre accolto le autorità locali e nazionali perché era mio dovere, ma ho sempre preferito dedicare il mio impegno alla scuola e al futuro della Comunità”.
“L’Intesa, un momento storico”
Sono stati anni di grandi cambiamenti quelli tra il 1982 e il 1990, gli anni che Giorgio Sacerdoti, professore all’Università Bocconi e consigliere UCEI, ha vissuto da presidente della Comunità ebraica. La sua carriera comunitaria è iniziata a dire il vero anche qualche anno prima, nel 1972. “Mi ero candidato per la prima volta ed ero risultato primo dei non eletti – racconta – e ricordo dunque che Massimo Della Pergola decise di non accettare l’incarico per lasciare spazio a un giovane”.
Con Italia Ebraica Sacerdoti ripercorre tutte le date salienti di quel decennio: ci fu il trasferimento della scuola da via Eupili e anche quello della casa di riposo da via Jommelli, e nel 1987 la firma dell’intesa tra lo Stato e l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, grazie alla quale ci fu una svolta nell’indipendenza delle Comunità, che da quel momento ebbe un suo statuto.
“Prima dell’Intesa era tutto diverso – ricorda Sacerdoti – e infatti quando fui eletto presidente per la prima volta dovetti ricevere l’approvazione da parte dal prefetto”.
“La scuola, il cuore della Keillah”
C’è un po’ di dispiacere nella voce di Cobi Benatoff, consigliere UCEI e presidente della Comunità di Milano dal 1990 al 1998, nell’osservare che da quel periodo ad adesso il numero di iscritti ha visto un calo, dovuto a tanti fattori tra cui identifica “la crisi del 2008, ma anche la decisione di molti giovani di andare all’estero”.
Tuttavia l’ottimismo e la determinazione a dare un contributo attivo alla vitalità della realtà ebraica milanese tornano forti mentre racconta il suo impegno per l’educazione, che lo ha portato nel 2000 a guidare la nascita della Fondazione per la scuola della Comunità ebraica di Milano, spinto dall’urgenza di fare qualcosa di concreto per salvare l’istituto che versava in gravi condizioni economiche e facendosi carico delle rette per aiutare le famiglie che volevano iscrivere i propri figli.
“Credo che mantenere la scuola funzionante sia una assoluta priorità, in quanto la storia mostra come sia ciò che garantisce una certa continuità alla Comunità”.
“La ricchezza di avere tante edot”
Quella del rabbino capo di Milano Alfonso Arbib, in carica dal 2005, è una prospettiva particolare. “Mentre Roma è una Comunità omogenea, Milano è tutto il contrario, e non è facile abituarsi alla sua disomogeneità.
Dopo il primo impatto, al mio arrivo trent’anni fa, ho imparato ad apprezzarlo. E questo perché è una realtà molto più internazionale e in qualche modo più simile a Israele ma anche all’Europa, e poi perché proprio questa disomogeneità data dalla compresenza di più edot – racconta – costituisce una grande ricchezza”.
Un elemento positivo, dunque, “di cui non si parla, perché la tradizione ebraica spesso ci porta a confrontarci prima con i problemi”. Le sfide da intraprendere sono tante. Tra le altre rav Arbib sottolinea la necessità di “riavvicinare coloro che si sono allontanati dall’ebraismo e dalla Comunità”. E la volontà di lavorare “con e per i giovani”.
“La sfida di parlare ad anime diverse”
“Sono stato rabbino capo per 25 anni, ma non me ne sono mai accorto”. Ripensa così al suo lungo mandato il rav Giuseppe Laras, presidente del Tribunale rabbinico del Centro Nord-Italia. “All’epoca – racconta – arrivavo da Livorno, una Comunità omogenea come tutte quelle del territorio italiano, e mi ritrovai a Milano dove la Comunità era eterogenea, formata invece da tanti gruppi diversi e dunque il problema fu quello di dover trovare un linguaggio comune facendole vivere in una realtà ebraica unitaria”.
Nel portare a termine questo compito, aggiunge il rav, “ho conosciuto tanta gente, sono entrato nelle loro case,e quando ho annunciato le mie dimissioni alcuni mi hanno espresso grande affetto”. Certo ci furono problemi e non fu tutto sempre facile, sottolinea rav Laras, ma in fondo “fare il rabbino capo non può essere una questione di comodo, e credo che nessuno che abbia ricoperto l’incarico possa dire di essersene stato tranquillo”.
“Comunità, quando era come casa”
“La Comunità di Milano è come casa mia” afferma il rav Elia Richetti, la cui famiglia ha sempre partecipato attivamente e in prima persona alla vita comunitaria ricoprendo cariche istituzionali oltre che rabbiniche (tra gli altri, suo nonno Ermanno Friedenthal è stato rabbino capo).
Tuttavia, aggiunge, “quella che ho vissuto come casa mia oggi non c’è più”. Il rav fa riferimento all’arrivo, in un periodo che localizza verso la fine degli anni ’80, di varie famiglie provenienti da varie zone che a poco a poco hanno, a suo dire, portato al “formarsi di vari gruppi simili al modello delle congregazioni a tal punto che la Comunità ha cominciato a non essere più vissuta come prima, quando ci si sentiva tutti parte di un’unica entità”.
La soluzione per Richetti è mediare tra questa frammentazione e l’esigenza di un punto di riferimento unitario attraverso la creazione di una “confederazione”. Per il futuro dunque si augura che “cresca questa consapevolezza e che grazie a essa i vari gruppi costituiscano uno stimolo reciproco per lo studio e le tradizioni ebraiche”.
“Lo studio, una chiave per il futuro”
“Voglio davvero bene ai membri della Comunità ebraica di Milano”.
È sentita e spontanea la dichiarazione d’affetto del rav Shmuel Rodal, che gestisce il tempio chabad Beit Shlomo, nel pieno centro della città, la cui storia è legata all’accoglienza di rifugiati scampati allo sterminio nazifascista nel periodo dopo la liberazione fungendo da tappa nel viaggio verso Israele. In questo anniversario importante il rav Rodal vuole guardare al futuro.
“Noto con grande dispiacere che all’interno della Comunità sembra esserci poca partecipazione alle occasioni di studio della Torah e delle tradizioni ebraiche”, osserva. Una disaffezione che secondo lui è minore di quella che si registrava un tempo, ma contro cui è comunque necessario intervenire nei prossimi anni. Il suo augurio è dunque che vi sia un maggiore avvicinamento alla religione dal momento che, sottolinea, “il benessere materiale non può mai bastare da solo, deve essere sempre accompagnato anche da un benessere spirituale”.
Italia Ebraica, gennaio 2016
(Nelle due immagini, l’inaugurazione della sinagoga centrale di via della Guastalla, riaperta nel 1953 una volta ultimati i lavori di ricostruzione iniziati nel 1947, e una foto odierna della facciata della sinagoga).
(4 gennaio 2016)