Un patrimonio da tutelare
L’arco del Tempio di Bel, a Palmira, piazzato tra Trafalgar e Times Square? Che storia è questa? La notizia è della scorsa settimana, e si riferisce al progetto finanziato dall’Istituto per l’Archeologia digitale, a cui partecipano gli atenei di Oxford e Harvard. In sostanza, una riproduzione dell’arco verrà stampata con la più grande stampante 3D del mondo e poi esposta in questi due luoghi celeberrimi. La ragione? Il monumento, in parte scampato alla furia del Daesh, è un simbolo del patrimonio culturale umano, e quindi viene esposto per ricordare gli enormi rischi che corre lo stesso patrimonio.
Le collocazioni tradiscono un approccio più cinematografico che elegante, forse. Mi pare però che l’iniziativa sia importante – insieme a misure più sistematiche quali l’istituzione presso l’Unesco dei Caschi blu della cultura – e che annunci un’evoluzione notevole nell’ambito della storia della civiltà. Possono storcere il naso gli studiosi, come hanno fatto in corrispondenza di ipotesi analoghe. Ma devono arrendersi a un dato di fatto: la tecnologia e l’innovazione non possono arrestarsi sul limitare della scienza, neanche di quella umanistica.
Chi conserva, tutela o ristruttura il patrimonio archeologico non può pensarsi immune dalla rivoluzione epocale in cui tutti siamo immersi. A un secolo dalla riflessione di Walter Benjamin (“L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”) il progresso compie un salto di qualità ulteriore e sfida il senso comune, le certezze consolidate e anche una dose di comprensibile scetticismo. Ed è un bene che a lanciare questo esperimento siano istituzioni accademiche di chiara fama: o loro, o il parco a tema. Tertium non datur.
Non mi sfuggono i rischi, le contraddizioni, le distorsioni che inevitabilmente potranno verificarsi (del resto, già esiste una Venezia a Las Vegas!). Ma trovo che affrontare questa sfida – anche nella ricostruzione della vera Palmira, di cui mi sono occupato su queste colonne alcuni mesi fa! – sia un’ipotesi affascinante, piena di significato e del tutto coerente con l’insegnamento ebraico di “innovare nella tradizione”.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(5 gennaio 2016)