Periscopio – Mai più
Com’è facile mostrarsi altruisti, sensibili e coraggiosi di fronte alle ingiustizie del passato, ed essere contemporaneamente egoisti, cinici e vili di fonte a quelle di oggi; indignarsi per le violenze di ieri, (quando i cattivi sono ormai inoffensivi, sconfitti e archiviati nei libri di storia, e le vittime sono morte, e della nostra solidarietà possono beneficiare solo nell’Aldilà, se esiste), e fare spallucce di fronte ai soprusi di oggi (quando i cattivi sono vivi, vegeti e potenti, e le vittime avrebbero tanto bisogno del nostro attivo aiuto e sostegno).
Si avvicina il Giorno della Memoria, e certamente sentiremo dire, da tante cattedre, con toni accorati e commossi, che la Shoah non è solo stata perpetrata dai carnefici nazifascisti, ma è anche stata permessa e agevolata da tutti quelli che – per paura, conformismo, viltà, indifferenza, quieto vivere – hanno girato la testa o chiuso gli occhi, scegliendo di non immischiarsi in faccende che magari non capivano o non approvavano, ma che comunque non li riguardavano direttamente. “Ciò non deve succedere mai più!”, sentiremo esortare, “mai più girare la testa di fronte ai segni del Male!”.
Mai più?
Il 2015 si è chiuso con un episodio che dà il segno di quanto sincera, diffusa e profonda sia la comune determinazione a far sì che “mai più” si chiudano gli occhi. Due ragazzi sono stati esclusi da una manifestazione sportiva internazionale – relativa a una disciplina nella quale, fra l’altro, erano i detentori del titolo mondiale, che erano chiamati a difendere, con alte possibilità di successo -, perché il loro Paese è molto antipatico alla nazione ospitante. Possono venire, hanno detto, ma devono gareggiare sotto rigoroso anonimato, non si deve mai dire a quale Paese appartengono, non si deve mai vedere la loro bandiera, devono prendere un volo indiretto, non possono comprare niente, in caso di vittoria, non si dovrà ascoltare il loro inno nazionale ecc. ecc. Nella Federazione sportiva internazionale – presieduta, guarda caso, da un italiano: “italiani brava gente” – qualcuno – ma solo qualcuno – ha mostrato un po’ di imbarazzo, sia pure a bassa voce, denunciando che ciò sarebbe stato contrario allo spirito dello sport (ma davvero?), e qualcun altro ha addirittura accennato (ovviamente per scherzo) alla possibilità di una reazione estrema, quale la scelta di disertare la manifestazione. Tale eventualità è stata adombrata anche per la delegazione italiana, che però, alla fine, ovviamente, è rimasta, perché, leggiamo, si è deciso di non scaricare sui due quindicenni italiani “contraddizioni molto più grandi di loro”.
Giusto, ben fatto. Giusto difendere il diritto dei nostri quindicenni a gareggiare, a divertirsi, a difendere i loro colori, a fraternizzare con i coetanei di altre nazioni, a tenere alti i valori dello sport. Qualche altro quindicenne forse è stato un po’ discriminato, peccato, ma poi, chi sa, ci saranno delle ragioni, la politica, vai a sapere… E poi, che c’entriamo noi? Non l’abbiamo mica presa noi questa decisione…
77 anni fa, tante mamme e tanti papà avranno appreso, all’improvviso, che dei bambini e dei ragazzi venivano cacciati dalle classi di scuola, e il primo pensiero di molti sarà stato: “ma nostro figlio mica lo cacciano, vero?”. Tranquillizzati sul punto, avranno poi rivolto, forse, un fuggevole pensiero alle vittime dell’ingiustizia: qualcuno avrà detto “ben gli sta”, qualcun altro “poverini”, ma la stragrande maggioranza avrà pensato, semplicemente: “che c’entro io? Non mi riguarda”.
Questo, ci sentiremo fra breve ripetere, non dovrà accadere più, ma proprio “mai più”.
Francesco Lucrezi, storico
(6 gennaio 2015)