Politica
Da quando l’aggettivo “politico” è diventato una parolaccia? Non occorre scomodare Aristotele per ricordare che non sempre è stato così. Ancora pochi decenni fa attribuire a una determinata questione un risvolto politico significava nobilitarla, segnalare che non erano in gioco interessi personali ma grandi temi etici che riguardavano, o potevano riguardare, l’intera collettività. In questi ultimi anni la diffidenza verso la politica è arrivata a un punto tale che persino gli interessi personali sono considerati con maggiore benevolenza. Quante volte, per esempio, è capitato di sentir definire (con una nota di disprezzo) “politico” uno sciopero degli insegnanti; come se astenersi dal lavoro e scendere in piazza per il proprio stipendio o per il proprio orario fosse una cosa legittima mentre porsi problemi più generali sulla qualità della scuola italiana o sul diritto allo studio per tutti fosse un’indebita ingerenza in campi che non ci appartengono. Anche nelle nostre Comunità c’è spesso una gara a chiamarsi fuori dalla politica, persino in vista delle elezioni, come se fosse più nobile contrapporsi sulla base di dicerie o amicizie e inimicizie personali (non mi è ancora capitato, infatti, di vedere competizioni elettorali fondate su dibattiti filosofici o discussioni talmudiche). Quando leggo o sento che i nostri dirigenti comunitari sono accusati di fare politica mi chiedo: ma non è proprio per questo che li abbiamo eletti? Certo, poi si tratta di intendersi su cosa significhi esattamente fare politica e quali siano le modalità corrette per farla, ma la diffidenza per la politica in sé è un pessimo segno. Non a caso circa un mese fa è stata definita “politica” (ovviamente per dire che non andava bene) la denuncia dell’Ucei contro un libro pesantemente antisionista; come a dire: combattere l’antisemitismo va bene perché (chissà perché) non è politica, combattere l’antisionismo (anche se palesemente intriso di antisemitismo) è politica e quindi non si può fare. Poi un giorno qualcuno dirà che è politica anche combattere l’antisemitismo, il razzismo e ogni altra forma di discriminazione. Forse dovremmo ricordare a noi stessi e agli altri che in un Paese democratico fare politica è un diritto e un dovere.
Anna Segre, insegnante
(8 gennaio 2015)