Blasfemia, diritti e libertà
Il dovere di compiere delle scelte

P1110320 “Tutti i cittadini, come singoli o come appartenenti a una componente sociale o religiosa, sono chiamati a compiere una scelta, e decidere fra la tentazione di porsi al di sopra o di sostituirsi alla legge o il diritto-dovere di avvalersi delle norme vigenti o ancora l’opportunità di partecipare alla ridefinizione di una legge comune in cui tutti possano riconoscersi, con cui tutelare al meglio le nostre speranze e i nostri ideali, e costruire una società in cui le fedi e le idee costituiscano nel rispetto reciproco un patrimonio comune di ricchezza e di fiducia.” Sono parole del direttore della redazione di Pagine Ebraiche, Guido Vitale, invitato da il Mulino e dalla Fondazione delle Scienze religiose di Bologna a presentare Blasfemia, diritti e libertà. Una discussione dopo le stragi di Parigi presso il Senato. Il volume, curato dal professor Alberto Melloni, e da Francesca Cadeddu e Federica Meloni, affronta già a partire dal titolo molta della difficoltà dell’Europa, a partire da Charlie Hebdo, ritenuto colpevole di blasfemia, un delitto da punire con la morte. È stata la costituzionalista Barbara Randazzo a definire il profilo giuridico della vicenda, a partire dall’osservazione che per molti il costituzionalismo si sta definendo sempre più come un’altra religione. Motivo per cui è necessario sia avere chiaro cosa si chiede al diritto, di cui vanno conosciuti limiti e funzioni, e anche quale è il rapporto fra legge e diritto e fra legislatori e giudici. In un periodo in cui islamofobia e antisemitismo ritornano nel linguaggio comune la lettura di un volume che affronta temi tanto complessi obbliga a una riflessione su un problema fondamentale, ossia sulla necessità di trovare un bilanciamento fra libertà di espressione, tutela dei diritti individuali e tutela dell’interesse pubblico. Sono sei, nell’Europa a 47, i paesi che ancora prevedono il reato di blasfemia, pur se declinato in maniere differenti. Importante sottolineare – ha ribadito la professoressa Randazzo – l’importanza dell’istruzione, e che, citando quanto scritto dal professor Melloni nell’introduzione del volume: “Come ha insegnato tanta storia delle tragedie del Novecento, è quando si capiscono gli atti, anche e soprattutto i più ripugnanti, come atti umani, frutto di scelte tanto aberranti quanto ‘motivate’ per chi le compie, che si produce quella conoscenza che, più e meglio di ogni astratta istanza etica, fonda gesti e posizioni coraggiose d’opposto segno”. Molti gli interrogativi proposti al pubblico, fra cui erano presenti l’onorevole Franco Marini, il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni e l’imam Sergio Yahya Pallavicini. Lidia Maggi, pastora della chiesa battista di Varese e teologa, ha messo in discussione l’idea stessa di blasfemia: è più blasfemo chi disegna immagini irriverenti oppure che offende il divino compiendo gesti di sangue? Molto scandalo solleva la satira – ha ricordato – ma nessuno pare scandalizzarsi per ciò che la satira attacca, espone, sottolinea.
L’importanza del volume, è emerso dalla sua presentazione, non sta solo nella sua capacità di informare, e di interrogare un fenomeno, ma anche di produrre un cambiamento: “Ora mi sembra di capire di più – ha dichiarato la pastora Maggi – e trovo un senso in certe vignette che ora non mi danno più fastidio”. Molto diversificata la reazione del mondo ebraico. “Dire che Charlie non piace agli ebrei, beh… bisogna vedere quali ebrei. Ce n’erano due quel giorno in redazione (Wolinski e Cayat) e sono stati uccisi. Gli ebrei a cui non piace (e io sono fra quelli) non si identificano nella sua scurrilità. Questione prima di tutto di buon gusto, prima che di divieti religiosi. Ma è evidente che è ben difficile immaginare un ebreo che prende un mitra per fare strage in una redazione di un giornale satirico. Non ce lo permette la nostra religione – ha affermato in una intervista lo scorso anno il rav Di Segni – e con molta più forza di quanto possa la religione su di noi, la nostra storia e la nostra coscienza”. Il rabbino capo del Commonwealth, rav Ephraim Mirvis, ha reagito negli scorsi giorni alla copertina del numero di Charlie Hebdo uscito nell’anniversario dell’attentato spiegando che “I giornalisti e i disegnatori di Charlie Hebdo hanno un diritto legale, ma non morale, di offendere ogni persona al mondo che crede in D-o caratterizzandolo come un assassino. Ma lo devono fare a condizione di comprendere quanto questo sia offensivo per milioni di persone. Così non pensiamo nemmeno per un momento che il loro contributo possa essere considerato virtuoso o meritevole di lodi. (…) La libertà di parola può essere un diritto, ma solo a condizione di usarla per fare il bene nel mondo”. Due posizioni già diverse, ma entrambe molto distanti da quella espressa già a gennaio del 2015 dal rabbino capo di Francia, rav Haim Korsia: “Esiste una nozione di blasfemia per il credente, ma non possiamo proiettare le nostre interdizioni sugli altri. Se qualcosa è blasfema per me, la evito. Dire che Charlie Hebdo si è spinto troppo in là significa cominciare a giustificare. Se si comincia a dire “la libertà di stampa, sì, ‘ma’, questo ‘ma’ è colpevole. Non ci possono essere dei ‘ma’, la libertà d’espressione e la libertà di stampa sono i fondamenti della nostra democrazia.
Il senso ebraico dello spirito consiste nel rendere impensabile il rigetto di ognuno, chiunque esso sia”.
Va ricordato anche, ha spiegato Vitale, che c’è un altro grande personaggio del mondo ebraico che da più di vent’anni affianca la redazione di Charlie Hebdo: Richard Malka è l’avvocato che ha difeso il giornale satirico nelle innumerevoli cause affrontate, ottenendo un tasso di assoluzione altissimo, ma soprattutto è la persona che ha aiutato i giornalisti e i disegnatori di Charlie a definire il limite fino a cui potevano spingersi. Una sfida complessa e appassionante, quella posta dall’affiancare la redazione nelle sue scelte più difficili, ma va ricordato che Malka è stato allievo di Georges Kiejman, politico e avvocato sopravvissuto alla Shoah ed erede di una lunga tradizione ebraica, e che ha affrontato più di una causa complessa, tra cui quella – storica per la difesa francese dei valori della – che ha opposto un asilo infantile a una sua dipendente, licenziata perché aveva deciso di portare il velo. “Non è più possibile evitare di prendere posizione – ha ribadito Vitale alla fine del suo intervento – tutti noi siamo chiamati a dire in che società vogliamo vivere”.
Preoccupata la voce del professor Melloni, che ha chiuso la presentazione segnalando alcuni snodi problematici, a partire da quella che ha chiamato “la piaga della generalizzazione”, che tende anche a sciogliere i singoli dalla responsabilità individuale per tendere verso la costruzione di colpe collettive. Gravi anche la diffusa indulgenza verso il pressapochismo, e la generale sfiducia nella libertà. “Sono inoltre convinto – ha concluso – che se percorriamo il viale dell’islamofobia presto ci troveremo davanti a un incrocio con la strada dell’antisemitismo”.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

(12 gennaio 2016)