Yoav, l’eroe dell’Hypercacher:
una vita per non dimenticare

yoav “Affrontare la morte di mio figlio Yoav è stato un dolore immenso per tutta la famiglia, e rivedere le sue foto in un film non è stato certo facile”. Racconta così l’ultimo anno Benjamin Hattab, rabbino capo di Tunisi e padre di Yoav, una delle quattro vittime dell’attacco di un terrorista islamico all’Hypercacher di Porte de Vincennes nel gennaio scorso. Il film di cui parla è il documentario Io sono Yoav, girato e autoprodotto dalle giornaliste Sabina Fedeli, Stefania Miretti e Amelia Visintini e montato da Mescalito Sangiovanni, andato in onda su Rai 3. A un anno da quelle drammatiche vicende dettate dall’odio antisemita, il rav Hattab porta la sua testimonianza ricca di emozioni ma anche di considerazioni sul mondo di oggi segnato dal terrorismo islamico e sulla necessità di non dimenticare la spaventosa strage parigina, rav batou hattab padre di yoav confrontandosi con il rabbino capo di Milano Alfonso Arbib in una serata condotta dal direttore della redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Guido Vitale. La Comunità ebraica di Milano ha infatti invitato il rav Hattab per una proiezione di Io sono Yoav al cinema Anteo. “Un primo evento che parla di attualità e di temi importanti da comunicare alla società per aprire le celebrazioni dei 150 anni della Comunità”, come ha sottolineato il viceassessore alla Cultura Gadi Schoenheit. Temi discussi attraverso una tavola rotonda che ha visto confrontarsi il giornalista Ricardo Franco Levi, il direttore del programma DOC 3 di Rai 3 Fabio Mancini, che ha trasmesso il documentario, e le realizzatrici Miretti e Fedeli.
Era la sorella, racconta il rav Hattab a Italia Ebraica, il membro della famiglia a cui Yoav era più legato. I due avevano infatti anche vissuto insieme a Parigi, dove il 21enne si era trasferito per lavorare. “Yoav era nato e vissuto in un paese arabo in pace e con decine di amici intorno, ed è morto nella Francia simbolo della democrazia occidentale; non è forse una situazione paradossale?”, si chiede Fedeli. “Nel documentario – osserva – viene ricordato come da Parigi il ragazzo si lamentasse perché veniva aggredito e deriso mentre indossava la kippah. La verità è che si sentiva davvero a casa solo quando tornava in Tunisia”. Una situazione confermata anche dal padre: “Vedo che in Tunisia come ebrei abbiamo rispetto, e anche di fronte alla rivoluzione non c’è stato nessun problema, siamo rispettati sia dallo Stato sia dalle persone, dai tunisini, anche dagli arabi con cui non abbiamo nessun problema”.
Anche Yoav, secondo Miretti e Visintini, era “un patriota tunisino come suo suo padre, che ha mantenuto la sua identità ebraica pur essendo perfettamente integrato nel paese d’origine”. Era un ragazzo di pace, “grande esperto di complessità”.
Proprio le dichiarazioni del padre subito dopo quegli giorni bui della storia francese ed europea, hanno inoltre raccontato le realizzatrici, hanno fatto nascere per la prima volta l’idea di approfondire la vita di Yoav, Il documentario girato in Francia, Tunisia e Israele (dove è sepolto Yoav) raccoglie le testimonianze della famiglia Hattab e degli amici più cari, mette insieme ricordi, parole e voci sotto le immagini e i video che ritraggono il ventunenne. Un ritratto grazie a cui Fedeli si è detta certa che la figura di Yoav riuscirà ad arrivare nel cuore di tutti. “Era un ragazzo speciale, con una profonda spiritualità e voglia di vivere”. Secondo le ricostruzioni sarebbe stato lui a risalire dalla cantina dell’Hypercacher nella quale si era rifugiato per non abbandonare gli altri e avrebbe parlato in arabo con Coulibaly per tentare di farlo ragionare. “Fino all’ultimo – ha concluso Fedeli – si è dimostrato un eroe”.

Francesca Matalon

da Italia Ebraica, febbraio 2016

(Nelle immagini: in alto, Yoav al voto in Tunisia; sotto, il rav Benjamin Hattab, padre di Yoav e rabbino capo di Tunisi)

(18 gennaio 2016)