Il Dialogo prende forza
È una tipica formula di ringraziamento ebraica quella che Bergoglio rivolge alla platea che assiste alla sua visita in sinagoga, terzo papa nella storia a varcare la soglia del Tempio Maggiore.
Parole scelte non a caso e che si imprimono in una giornata che segna un capitolo ulteriore, e decisamente positivo, nei rapporti tra ebrei e cristiani.
Dialogo, incontro, reciproco rispetto. I risultati raggiunti, gli obiettivi da perseguire. Quello che unisce e quello che divide. Il rispetto, innanzitutto.
Anche nel solco dei valori testimoniati dalla dichiarazione conciliare Nostra Aetate, che 50 anni fa ha costituito un vero e proprio spartiacque nelle relazioni e che è più volte evocata negli interventi.
“Già a Buenos Aires – ha esordito Bergoglio – ero solito andare nelle sinagoghe e incontrare le comunità là riunite, seguire da vicino le feste e le commemorazioni ebraiche e rendere grazie al Signore, che ci dona la vita e che ci accompagna nel cammino della storia”.
Un cammino che è fondamentale proseguire e arricchire di sempre nuovi contenuti, anche tenendo presente “l’inscindibile legame” che unisce gli ebrei ai cristiani.
“Secondo la tradizione giuridica rabbinica, un atto ripetuto tre volte diventa chazaqà, consuetudine fissa. È decisamente il segno concreto di una nuova era dopo tutto quanto è successo nel passato” ha sottolineato il rabbino capo Riccardo Di Segni accogliendo Bergoglio in sinagoga.
Due in particolare, a suo dire, i segnali da cogliere in questa visita. Il primo, quello della continuità. E cioè di una pagina di amicizia che viene scritta nella consapevolezza del percorso aperto dai due predecessori del papa argentino con le loro storiche visite – Wojtyla nel 1986, Ratzinger nel 2010. “Il terzo papa a visitare la nostra sinagoga conferma la validità e l’intenzione del gesto del primo papa, che voleva significare la rottura con un passato di disprezzo nei confronti dell’ebraismo”, ha affermato rav Di Segni.
Il secondo segnale è dettato invece dall’urgenza dei tempi e cioè dalla necessità che le diverse comunità religiose si ritrovino unite, per contrastare “visioni fanatiche” e “persecuzioni religiose” che imperversano non lontano dalle nostre porte.
Temi su cui piena è stata la convergenza con Bergoglio, che ha invitato ebrei e cristiani ad offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia “circa la cura del creato”.
Perché, come ha ricordato, “conflitti, guerre, violenze e ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno”.
Bergoglio ha poi ribadito alcuni concetti già precedentemente espressi in alcune dichiarazioni o documenti vaticani. Come il seguente assioma: “I cristiani, per
comprendere se stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele”.
“Tutti quanti apparteniamo ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo. Insieme, come ebrei e come cattolici – ha poi incalzato – siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità per questa città, apportando il nostro contributo, anzitutto spirituale, e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali”.
“Non accogliamo il papa per discutere di teologia. Ogni sistema è autonomo – ha detto dal suo canto rav Di Segni – e la fede non è oggetto di scambio e di trattativa politica. Accogliamo il papa per ribadire che le differenze religiose, da mantenere e rispettare, non devono però essere giustificazione all’odio e alla violenza, ma ci deve essere invece amicizia e collaborazione e che le esperienze, i valori, le tradizioni, le grandi idee che ci identificano devono essere messe al servizio della collettività”.
Significativo, tra gli altri, il richiamo fatto da Bergoglio alla celebre espressione (“fratelli maggiori”) usata 30 anni fa, nello stesso luogo, da papa Wojtyla. E importanti anche le parole pronunciate in conclusione di intervento, con lo sguardo rivolto ai Testimoni: “La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace”.
Il passato, ha scandito Bergoglio, “ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro”. Le ferite di ieri, l’impegno e la progettualità di oggi. “Nel nostro pubblico – ha spiegato rav Di Segni – è qui presente la memoria storica della comunità, gli ormai purtroppo pochi sopravvissuti agli orrori dei campi di sterminio, i feriti degli attentati terroristici, ma anche i testimoni e i protagonisti dell’intensa vita organizzativa e religiosa di questa nostra comunità, che non
solo resiste alle seduzioni del tempo ma investe le sue energie in una crescita spirituale e sociale fedele agli antichi insegnamenti. Una dimostrazione bella e costruttiva di testimonianza di valori in una società che stenta a trovare la sua strada”.
Una strada Bergoglio l’ha indicata chiaramente, quando ha spiegato come in questi 50 anni siano cresciute e si siano approfondite “la comprensione reciproca, la mutua fiducia e l’amicizia”.
“Preghiamo insieme il Signore – ha infine invocato – affinché conduca il nostro cammino verso un futuro migliore”.
A suggello della visita, apertasi con un omaggio alle vittime del nazifascismo e al piccolo Stefano Gaj Tachè, vittima innocente dell’odio palestinese, due doni dalla notevole valenza simbolica. Un dipinto raffigurante la Menorah, opera dell’artista Georges De Canino. E un calice in argento, realizzato dall’architetto e designer israeliano David Palterer.
“Fianco a fianco per difendere la pace e la vita”
“Questa visita giunge a rinsaldare ancor di più il cammino di dialogo, di amicizia e di fratellanza tra il popolo ebraico, il popolo dell’Alleanza, e la Chiesa cattolica”.
Così il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, che ha esordito con un ricordo delle due precedenti visite e riconoscendo la continuità affermata nel nuovo incontro con Bergoglio.
“Sono indelebili nella nostra memoria – le sue parole – le immagini dello storico abbraccio che trent’anni fa, il 13 aprile 1986, vide uniti papa Giovanni Paolo II e il rav Elio Toaff. Ero presente e vidi con i miei occhi le loro figure avvicinarsi l’una all’altra, stringersi prima le mani e poi lasciarsi andare in quel gesto, uno appoggiato all’altro, come per sostenersi a vicenda e annullare quella distanza che per secoli era stata incolmabile”.
“Il 17 gennaio 2010 – ha proseguito – ebbi l’onore di partecipare personalmente, come rappresentante delle 21 Comunità ebraiche italiane, alla visita di papa Benedetto XVI, allora come ora insieme al nostro rabbino capo Riccardo Di Segni. Un incontro significativo e ricco di contenuti, durante il quale il papa ribadì la condivisione delle comuni radici, sulla base delle quali superare ogni forma di incomprensione e pregiudizio”.
I due momenti di incontro, per il presidente dell’Unione, sono stati il coronamento e l’ideale prosecuzione di un percorso non sempre facile, “che trova la sua origine, e ha avuto una fondamentale svolta positiva, con la promulgazione della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate”.
Quel passo, 50 anni fa, “cambiò radicalmente il rapporto tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo intero e, per giudizio unanime, costituisce una pietra miliare che segna l’inizio di un dialogo costruttivo”.
Un concetto che sarebbe stato “largamente condiviso” durante le “numerose celebrazioni” che si sono svolte negli ultimi mesi per ricordarne il cinquantenario.
“Nella loro diversità, nel reciproco rispetto delle differenti tradizioni, nell’accettazione di una pari dignità – ha sottolineato Gattegna – il rapporto tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo vive da allora un periodo di grande progresso, che possiamo sicuramente definire di portata storica”.
Una nuova era che starebbe avendo una ulteriore accelerazione proprio grazie a Bergoglio, cui è stato attribuito un “forte” e “profondo” legame con il mondo ebraico.
“Nel novembre 2013 – ha ricordato Gattegna – fu pubblicata la sua prima esortazione apostolica denominata ‘Evangelii gaudium’. In quella e in altre occasioni sono state da lei rese pubbliche affermazioni che tante generazioni di ebrei, in passato, hanno sperato di sentir pronunciare. In particolare, quella della cui importanza non tutti si sono ancora resi conto”.
Tra i brani citati quello in cui si afferma che la conversione che la Chiesa chiede agli idolatri “non è applicabile agli ebrei”; ma anche quello in cui si riconosce che l’alleanza del popolo di Israele con l’Onnipotente “non è mai stata revocata” e quello in cui l’ebraismo viene definito “radice sacra” dell’identità cristiana.
Un panorama innegabilmente positivo positivo ma che, ha ammonito Gattegna, “non deve indurre alcuno a interrompere il cammino intrapreso per raggiungere nuovi e ulteriori progressi”.
In particolare, il suo suggerimento, “ritengo necessario realizzare una strategia comune che consenta un’ampia diffusione presso tutta la popolazione della conoscenza del grande lavoro svolto e del consolidamento dei sentimenti di rispetto reciproco, di amicizia e di fratellanza che fino ad oggi sono rimasti circoscritti ai vertici religiosi e culturali”.
Ancora circolano con frequenza pregiudizi e discorsi improntati a un disprezzo che offende e ferisce, ha poi detto il presidente dell’Unione. Si guarda quindi alle giovani generazioni “con la speranza che sappiano cogliere i frutti di quanto abbiamo seminato, e molto altro per affermare i valori del dialogo e della vita”.
Alzando lo sguardo al panorama internazionale, ha incalzato Gattegna, “appare chiaro che in questo difficile momento cristiani ed ebrei sono accomunati dallo stesso destino, come da lei ricordato sia nel corso del suo viaggio in Israele, sia nelle occasioni in cui ha avuto modo di incontrare il presidente Shimon Peres e il presidente Reuven Rivlin”.
Nella lotta a nemici “spietati, violenti e intolleranti” la salvezza per tutti, ha concluso Gattegna, “può venire solo dalla formazione di una forte coalizione, basata sulla condivisione di alti valori etici quali il rispetto della vita e la ricerca della pace, che sia in grado di vincere questa sfida, camminando tutti, fianco a fianco, nel rispetto delle diversità, ma al tempo stesso consapevoli dei molti valori, principi e speranze che ci uniscono”.
“Siamo italiani e parte del popolo di Israele”
“Più di mezzo secolo fa incontri come questo sarebbero stati difficili da immaginare”.
Così la presidente della Comunità Ruth Dureghello nell’accogliere Bergoglio.
“La sua visita non porta con sé il segno dei ritualismi. È una tappa importante, in un momento delicato in cui le religioni devono rivendicare uno spazio nella discussione pubblica per contribuire alla crescita morale e civile della società”.
In questa prospettiva, ha rilevato, “mi sento di poter dire che ebrei e cattolici, a partire da Roma, debbono sforzarsi di trovare assieme soluzioni condivise per combattere i mali del nostro tempo”.
In merito alle peculiarità dell’ebraismo romano è stato invece osservato: “La nostra Comunità, che ha vissuto una storia straordinaria di sopravvivenza dell’identità nonostante le discriminazioni e le persecuzioni, è una comunità vivace, attiva e complessa. In questa sinagoga, simbolo dell’emancipazione politica della nostra Comunità, dopo la segregazione perdurata per quasi quattrocento anni, sono oggi presenti le tante espressioni dell’ebraismo romano,
italiano e internazionale”.
“Gli enti ebraici – ha poi detto Dureghello – sono istituzioni con radici antiche e tradizioni solide che rappresentano un ebraismo impegnato, nei secoli, al sostegno dei bisognosi, alla cura dei malati e degli anziani e, soprattutto, all’educazione dei figli e delle nuove generazioni. Persone, nella stragrande maggioranza volontari, che lavorano ogni giorno silenziosamente, con o senza ruoli ufficiali, per tenere viva una Comunità che è il mio più grande orgoglio ed è un grande orgoglio per tutta la città”. Due le affermazioni di Bergoglio verso cui è stato mostrato particolare apprezzamento.
In prima istanza il concetto che un cristiano “non possa essere antisemita” evocato anche in occasione di un precedente incontro con i vertici comunitari.
In seconda istanza il riconoscimento del fatto che “attaccare gli ebrei è antisemitismo, ma anche un attacco deliberato a Israele è antisemitismo” riferito dal presidente del Congresso ebraico mondiale Ronald Lauder al termine di un incontro privato in Vaticano.
“Questa Comunità, come tutte le comunità ebraiche nel mondo – ha spiegato Dureghello – ha un rapporto identitario con Israele. Siamo italiani, profondamente orgogliosi di esserlo e allo stesso tempo siamo parte del Popolo di Israele. È attraverso le sue parole che riaffermo con forza che l’antisionismo è la forma più moderna di antisemitismo”.
Fermo anche l’invito a un impegno congiunto contro l’odio e il terrorismo: “Di fronte al sangue sparso dal terrore in Europa e in Medio Oriente, di fronte al sangue dei cristiani perseguitati e agli attentati perpetrati contro civili inermi anche all’interno dello stesso mondo arabo, di fronte agli orrendi crimini compiuti contro le donne. Non possiamo essere spettatori. Non possiamo restare indifferenti”.
Con questa visita, ebrei e cattolici avrebbero quindi lanciato insieme “un messaggio nuovo” all’attenzione dell’opinione pubblica.
“La fede non genera odio, la fede non sparge sangue, la fede richiama al dialogo. Una convivenza ispirata all’accoglienza, alla pace e alla libertà in cui si impari a rispettare, ciascuno con la propria identità, l’altro. Come oggi qui a Roma, così in ogni luogo”.
Nella speranza, ha concluso Dureghello, “che questo messaggio giunga ai tanti musulmani che condividono con noi la responsabilità di migliorare il mondo in cui viviamo”.
Pagine Ebraiche, febbraio 2016